A cura della Redazione

Se tu non sei di Torre, non puoi sapere che cosa sia il Savoia. Per noi che lo abbiamo preferito anche a Maradona, il Savoia è molto più di una bandiera, di una maglia. La chiameremmo perfino fede se non vivessimo in un’epoca nella quale, in nome della fede, si fa la guerra, si uccide. Essere del Savoia è avere una seconda pelle, è essere abituati più alla sofferenza che alla gioia, è poter raccontare quella volta di Savoia-Cicciano ultima partita prima di una promozione in serie D con la stessa enfasi che altri (molti altri) usano per rievocare una vittoria in Champions League. Per noi del Savoia pari sono Osvaldo Jaconi, l’allenatore che ci regalò il Paradiso della Serie B, e Pasquale Vitter, il medico che curò le profondissime ferite della caduta all’Inferno, restituendoci il brivido di due campionati vinti di fila. È normale, se sei del Savoia, radunarsi in ottomila una sera di metà settimana per una partita di Coppa Italia campana, appuntamenti che altrove attirano al massimo un centinaio di volenterosi. Ecco che cosa significa essere del Savoia, essere tifosi a Torre Annunziata.  

È vero, siamo poveri: come città e come tifoseria. Oggi, forse, non riusciremmo a garantire un futuro solido a una società professionistica. Se avessimo avuto questa forza, non saremmo retrocessi dalla Legaprò e ora non saremmo qui a indignarci sull’esproprio di un marchio che appartiene solo alla nostra leggenda e che non può essere traslocato come una franchigia del lontanissimo sport americano.

Ma non avere ricchezze non significa non avere dignità. Quella la conserviamo, la difendiamo dagli attacchi di chi neppure ci conosce, neppure ha avuto la curiosità intellettuale di conoscerci come collettività. Aver cambiato la maglia, soprattutto il simbolo, come se quella griffe non fosse più di moda, è stato un oltraggio alla storia. Risparmiatecelo. Mai più il Savoia lontano da Torre Annunziata: restituiteci il nostro nome, almeno quello non è mai stato in vendita.