A cura della Redazione
Travolto dall’ennesima crisi economico-societaria - che rende ingestibile perfino il modesto onere finanziario del campionato di Eccellenza, per l’inagibilità dello stadio Giraud - muore dunque il Savoia. Quando Torre Annunziata era soprannominata la Manchester del Sud e nel porto attraccavano le navi granarie destinate ad alimentare i molti pastifici della città (gli stessi descritti nella struggente «La quinta stagione dell’anno» dello scrittore oplontino Vincenzo Esposito, mentre in «Francesca e Nunziata» Maria Orsini Natale ne celebra appunto l’epopea, qui portata avanti soprattutto da capitane d’industria), la squadra contese lo scudetto al Genoa. Il massimo campionato era allora diviso in un girone di centrosud e in uno settentrionale, come forse piacerebbe oggi a Bossi. Il Savoia (il cui campo era il glorioso Formisano, dal quale si vedeva il mare) era stato appunto il primo nel suo ambito, nel 1923-1924 e più volte ha disputato la serie B, l’ultima nel 1999/2000. Altri tempi. Qui da parecchio hanno chiuso anche quasi tutte le fabbriche subentrate al fiorente periodo dell’arte bianca. Chi voglia documentarsi su questo processo (e sulle sue responsabilità derivanti da una mediocre imprenditorialità, da un sindacalismo miope e da una politica clientelare) può leggerne il racconto dolente in un volume di qualche anno fa, scritto da un agguerrito gruppo di giovani studiosi e consegnato al libro «Il suono delle sirene spente», a cura dalla sociologa Enrica Morlicchio. Torre non ha nemmeno più un teatro degno di questo nome e le resta solo un cinema che sopravvive a fatica, anche se proprio qualche giorno fa ho dovuto spedire ad amici di fuori pacchi di pasta Setaro, l’ultimo pastificio sopravvissuto, dal sapore dei cui prodotti erano rimasti conquistati, provandoli a casa mia. L’ultima speranza è adesso la zona franca urbana - nella quale potranno localizzarsi imprese sgravate da imposte per un certo numero di anni - mentre il timore inespresso è che la camorra fiuti l’affare e cali su di esso servendosi di prestanome. Del Savoia, quando ero adolescente, mio padre avvocato (che l’aveva più volte difeso davanti agli organi della giustizia sportiva) fu addirittura presidente dopo che un imprenditore che lo guidava aveva - storia che si è ripetuta spesso - dichiarato forfait.. E furono occasioni di sfottò col ramo milanese della famiglia, visto che l’altro e più famoso Peppino era già (e lo restò fino alla scomparsa) vicepresidente dell’Inter. Tramonta a cent’anni dalla nascita un simbolo di identità, in taluni momenti l’unico positivo, mentre intorno ogni cosa deperiva e si corrompeva. Che possa presto rinascere. Sarebbe l’inizio di una nuova speranza per una terra ormai senza più sogni. SALVATORE PRISCO