A cura della Redazione
Il sonno malato dell´ex città della pasta e del ferro Come i gabbiani sulle discariche. Alle 11 Torre Annunziata è già piena di tossici, palesi o velati. Clienti e soldi cash. Tanti. Su corso Vittorio Emanuele, ad un passo dalla sede storica del Municipio, l’industria numero uno marcia a pieno regime. A facce scoperte, trafficano “soldati” sfrontati, operativi. Stesso volto dei tre sedicenni aguzzini che l’altra notte hanno rapinato e ripetutamente stuprato la turista tedesca sulla spiaggia di Rovigliano. Il via vai della gente è tenuto sotto stretto controllo, i rampolli senza casco sfrecciano impuniti, i soldi scivolano invisibili, il lasciapassare scatta dietro il codice dei gesti. In tre parole: cocaina (e altro) che scorre. Il giorno dopo l’assalto choc a Sandra e David, turisti inghiottiti in una notte d’inferno, Torre rialza la saracinesca del crimine. Stesse modalità, stessi attori. Anzi, con argomenti più piccanti e risatine e allusioni che ingoiano meglio il turnover. Sta zitta e a capo chino (escluse eccezioni) la città che alleva piccoli carnefici. Piccoli come quel nipote del padrino, Valentino, anche lui, 18 anni, che è già, nell’ordine: denunciato per tentato omicidio, sposo della figlia di un boss e padre. E’ qui il bubbone. La pancia del crimine vesuviano: in mezzo l’asse geo-criminale più eterogeneo. Lontana dalla delinquenza monitorata di Napoli, siderlamente fuori dalle proiezioni della penisola sorrentina. E lo sanno tutti: dal Viminale in giù. Invano. Un droga-shop a cielo aperto da far invidia a dieci Scampie, ragazzini di 13 e 14 anni che guadagnano fino a tremila euro al mese, mille per lo spaccio “light” o il ruolo di vedette delle piazze di spaccio. I tiratori armati stanno sui tetti di alcuni edifici scrostati, scene che persino l’antimafia conosce e cerca disperatamente di contrastare, malgrado il carico di 1600 fascicoli per ogni sostituto procuratore di questo palazzetto della giustizia, che si erge isolato e straniero ai bordi del paese. Lo guidano un procuratore di lungo corso, Diego Marmo, e il suo agguerrito aggiunto, Raffaele Marino, appena arrivato dalle inchieste della Dda eppure già si parla di lui nelle conversazioni captate ai camorristi. Sanno tutto. Come di tutti. E’ crudo, Marino. «Lavoriamo in un fortino assediato. Il capillare controllo che le cosche esercitano sulla comunità da un lato impedisce lo sviluppo – analizza – dall’altro condiziona e piega ogni rapporto di vita relazionale. Lo Stato deve fronteggiare una situazione disastrata e ormai alle prese con imponenti affari. Interi pezzi di economia e di vivibilità sociale sono extra Stato, trovano fondamento in un solido consenso». L’usura sovrasta tutto: giro per milioni di euro al mese, businnes criminale superiore alla stessa eroina e cocaina, coi tassi che fanno concorrenza a banche e delle più economiche finanziarie. C’è un’immagine che fotografa il sonno malato in cui vive l’ex città dell’arte bianca: capitale dei pastifici prima, e dell’industria ferrosa poi. E una consecutio di eventi che raffigurano l’abisso economico e culturale in cui è precipitata la Torre di oggi – 50 mila abitanti scarsi, 7 chilometri quadri di cui almeno 5 travolti dal degrado -. La ricorda il sindaco, Giosuè Starita, avvocato 40enne, sospeso tra ottimismo e tragici dati. «Torre? Anche geograficamente è stata spartita dai poteri forti. Il nord con vista sul mare è dei monasteri e dei preti. Il sud e il mare toccò alle fabbriche, purtroppo estinte. C’era il grande polo del ferro. Dalmine, Italtubi, grandi aziende pubbliche, 10 mila dipendenti. Finì verso i Settanta. Poi arrivò il terremoto: per anni e anni, 3 mila persone hanno vissuto nelle scuole. Promiscuità, perdita della dignità, abbruttimento. Il centro vitale del paese è ancora fisicamente espropriato dallo Spolettificio di memoria borbonica. E il cuore antico? In mano alla camorra, il Quadrilatero delle carceri, che in effetti è ancora cabina di regia». Parole di coraggio, non di resa. «La Procura e le forze dell’ordine rispondono colpo su colpo a crimini efferati. Forse arriveranno a gennaio, dopo altri rinvii, i carabinieri di un intero gruppo territoriale. Ma il controllo, per paradosso, è l’ultima cosa». Lo sviluppo, chiede il sindaco. E «crescita culturale». E spiega. «La zona franca urbana stabilita per Torre è la più grande opportunità che si possa offrire al privato: aspettiamo la pubblicazione per inizio ottobre a Bruxelles. E poi il distretto industriale per la nautica, un nuovo modello di contratto d’area che interessa la Fincantieri. Ma i tempi sono tutto. Quelli decideranno il futuro». Il Comune dei paradossi. «L’ho scritto anche al prefetto di Napoli. 110200 mila euro da spendere per la videosorveglianza, non mi sbloccano la gara, non c’è sostegno per una città sotto allarme. Eppure Torre Annunziata è come uno che sta affogando a venti metri dalla riva. La terra è vicina, ma abbiamo poco tempo». Brutta metafora, l’approdo. Fa pensare alla ex splendida baia di Rovigliano dove si consuma uno stupro, dominio di sedicenni carnefici, di discariche che i Comuni si palleggiano e nessuno pulisce. Eppure qualcuno al Comune, zona di “grande spaccio”, conserva ancora le parole che qui scrisse Goethe, marzo 1787. «Pranzammo a Torre Annunziata con la tavola disposta proprio in riva al mare. Alcuni affermavano che senza la vista del mare sarebbe impossibile vivere. A me basta che quell’immagine rimanga nel mio spirito». CONCHITA SANNINO da "Repubblica" del 27 agosto 2008