A cura della Redazione
Tutto in un giorno: resterà nella memoria collettiva come un eterno incubo quel maledetto sabato di fine novembre in cui un’onda d’ordinaria follia attraversò Torre Annunziata. Lasciò una scia di sangue innocente e di rinnovata paura. Innanzitutto la storia del piccolo Luigi, abbattuto come un birillo mentre era con la mamma per le strade di Rovigliano, investito da un altro ragazzo che, senza patente, consegnava pizze con uno scooter. Un dramma, un doppio dramma, il peggiore che dei genitori possano immaginare per sé e per i propri figli, consumato all’interno di una piccola comunità che già soffriva di senso d’abbandono. I dettagli che sono seguiti sono ancora più atroci: la foto di Luigi che bacia la pancia in attesa della mamma, la lettera per il prossimo Natale, la descrizione unanime di chiunque abbia conosciuto questo piccolo angelo scippato alla vita, hanno creato una partecipazione emotiva straordinaria. Tutta la città si è unita, come ormai capita solo per questi eventi dannati che ancora di più evidenziano il disagio. Siamo una popolazione segnata da una condizione perennemente in peggioramento. Il processo popolare che è seguito è apparso l’ennesima replica di quanto già visto e sentito mille volte. Dalle accuse al cordoglio. Le parole più sensate le ha pronunciate Michele Del Gaudio, giudice e padre molto sensibile. Le riporto, trascrivendole dal “muro” di TorreSette: «Un adolescente uccide un bambino! Un adolescente, mentre lavora, uccide un bambino! Un adolescente, mentre lavora (in nero?), uccide un bambino! Perché accadono queste cose? E’ solo e tutta colpa dell’adolescente? Perché muoiono i bambini? Perché proprio Luigi? L’adolescente e il bambino potevano essere nostri figli! Cosa possiamo fare per evitare che nostro figlio investa un bambino e per evitare che nostro figlio venga investito a cinque anni? Caro Luigi, dobbiamo fare qualcosa, te lo dobbiamo!». Le sue domande sono le nostre domande, le risposte fatichiamo tutti a trovarle. E’ la sintesi di quel che è accaduto, l’assurdità descritta di una situazione che sfugge a ogni interpretazione razionale. Un ragazzino non c’è più, strappato ai genitori, ai nonni e a un futuro che avrebbe avuto tutto il diritto di vivere da protagonista. Tutto il resto è sicuramente migliorabile: l’attenzione dovuta verso Rovigliano, realtà sempre più centrale nella vita cittadina; soprattutto la cultura della legalità che deve rendere non più possibile l’affidamento di un mezzo veloce a chi non ha ancora l’età e l’abilitazione per guidarlo. Se sarà difficile restituire serenità ai torresi di frontiera, nulla ridarà la vita strappata al piccolo Luigi. Una sensazione di insicurezza che in quel sabato maledetto è stata alimentata anche dalla rapina alla gioielleria di corso Vittorio Emanuele. Non la prima, non in un luogo geograficamente marginale, ma nel centro cittadino violato dai banditi di turno all’ora dello shopping. Uno schiaffo assestato in pieno viso a tutti noi, mentre s’avvicina la fine di un anno disgraziato, un altro. La reazione dei commercianti, la mobilitazione che ha portato i rapinatori alla fuga, danno la misura dell’esasperazione alla quale questa sfida continua con la criminalità ci ha portati. Eppure l’arresto del giovane Gionta, terza generazione di boss, avrebbe dovuto rafforzare proprio il sentimento di sicurezza; lo Stato sarebbe dovuto uscirne più forte. Neppure stavolta è stato così. Non ancora, almeno. Le due storie non potevano essere più diverse, eppure sono sottilmente legate da quella comune base di illegalità che trattiene verso il basso Torre Annunziata, impedendone ogni forma di decollo. Non esiste un esercito che possa combatterla se non esiste volontà di cambiare atteggiamento, mentalità, abitudine. E quello è affar nostro. Una promessa da onorare per Luigi, piccolo angelo abbattuto in una tristissima notte di novembre. MASSIMO CORCIONE