A cura della Redazione
Sarebbe interessante raccogliere le storie di quanti per anni hanno atteso che la Zona Franca Urbana vedesse finalmente una concreta applicazione. Ascolteremmo racconti coniugati solo al passato, di ragazzi (o di ex ragazzi) che nell’attesa hanno consumato sogni e giovinezza, che magari sono stati costretti a battere sentieri diversi da quelli che avevano immaginato e anche progettato. Non né facile trasformarsi in imprenditori, non lo è soprattutto per noi che pure siamo storicamente passati per un periodo di imprenditoria diffusa. Era il tempo dei cento pastifici, ma definirli industrie, come capita di leggere oggi, è una forzatura che non aiuta a ricostruire né le nostre radici, né la verità storica. Nella stragrande maggioranza dei casi erano poco più che laboratori artigianali, sistemati al piano terra di palazzetti che al primo piano ospitavano le dimore dei proprietari. Riprodurre quel modello (poi miseramente finito per l’incapacità di consorziarsi per rintuzzare l’attacco delle grandi industrie) non si può, ma la Zona Franca Urbana qualche chance la concede. E non attraverso contributi a pioggia, ma con lo strumento delle facilitazioni. Il dettaglio della novità un po’ stagionata lo troverete su questo numero di Torresette, ma qualche aiuto andrebbe dato a chi pensa di sfruttare questa occasione. I poteri di indirizzo sull’attività economica dovrebbero essere esercitati per evitare che le scelte siano frutto di improvvisazioni piuttosto che di ponderazione del rischio. Non accadrà e questa sarà una delle ragioni per cui la ZFU non potrà essere la soluzione di tutti i problemi torresi. Le cifre sulla disoccupazione giovanile in Italia sono da brividi e anche la ripresina timidamente annunciata da qualche segnale positivo dell’economia non sembra prevedere un recupero clamoroso di posti di lavoro. Come al solito toccherà arrangiarsi, verbo che conosciamo quanto nessuno al mondo. Ecco perché sostengo che non siamo in condizione di rinunciare ad alcuna possibilità. Neppure se legata a un business che a volte è quasi blasfemo nominare: quello dei rifiuti. Tutto va affrontato senza pregiudizi o riserve mentali, ma tenendo sempre presente il bene supremo, la salute pubblica. Quella sì, intoccabile e da proteggere a tutti i costi. Per ora non è neppure un’idea, ma solo uno spunto di riflessione. Per non finire definitivamente fuori Zona. Meditiamo, gente, meditiamo. MASSIMO CORCIONE