A cura della Redazione
Ci sono momenti in cui la felicità è un groppo in gola immotivato, il modo più spontaneo per dire grazie a chi ti ha fatto crescere: la tua città, la tua scuola, e pure la tua mamma. Io l’ho vissuto, a Torre Annunziata, nell’aula magna del mio liceo che Benito Capossela sta trasformando in un laboratorio di vita. Io – come generazioni di miei concittadini - ho frequentato sempre sedi precarie: pastifici, garage riadattati, agrumeti diventati palestre. Invece, quella sala piena, quei ragazzi entusiasti dalla faccia pulita e dalla testa libera, hanno regalato a me, ma credo anche a tutti i presenti lunedì scorso, una serata di normalità. Basta poco per non sentirsi diversi, esclusi dal resto del mondo, con un futuro negato. Studenti e professori, figli e genitori, mamme vulcaniche e ingegneri ecologisti, presidi ed ex allievi hanno mostrato l’altro volto di una città e di un’intera zona martoriata, violentata, depredata. Tre giorni dopo, il Consiglio Comunale si sarebbe radunato per affrontare il tema criminalità, discutere su una cupola che ci toglie il sole, ma il sindaco s’è accorto che il futuro era lì, interpretato dai ragazzi radunati per l’occasione di un premio dedicato a Gianni Marino, uno di noi che aveva provato a cambiare senza che gliene fosse concesso il tempo. E il futuro non va abbandonato, ma assecondato, stimolato, comunicato. Concedere ai giovani la possibilità di esprimersi è alla base del rinnovamento e la scuola in questo ruolo è insostituibile. Ma una scuola diversa, come molti presidi dei nostri istituti propongono, capace di cogliere le istanze e allevare i talenti. Ne ho visti tanti, di talenti, che andrebbero incoraggiati, chi sa quanti altri restano sommersi da un quotidiano non più accettabile. Mi resta un cruccio che tormenta tutti i miei soggiorni torresi: non ho fatto nulla per loro, eppure forse avrei potuto, sicuramente avrei dovuto. E una questione personale, che non interessa gli altri, ma che io denuncio, a nome di una categoria, quella degli emigranti di successo, che oggi si pavoneggia delle conquiste fatte lontano da casa. Nulla avremmo fatto senza quella scuola naturale, senza quella frequentazione del marciapiede, intesa come struscio che arricchiva i rapporti umani. Chi sta arrivando è ancora più voglioso di dare un colpo d’acceleratore. Non freniamoli, faranno correre tutta la città e i suoi abitanti, senza costringere a ingranare la malinconica retromarcia della nostalgia. MASSIMO CORCIONE