A cura della Redazione
Lo spunto viaggia con la notizia dei dodici vincitori del concorso per vigile urbano: facce nuove che scenderanno (a tempo determinato) presto sulle strade di Torre Annunziata per lavorare, finalmente una luce nel buio che avvolge troppo spesso il futuro delle ultime generazioni. Saranno anche i garanti della legalità, la missione eticamente più nobile che possa capitare di abbracciare. Soprattutto qui, dove la criminalità lancia preoccupanti segnali di resurrezione del sistema. Per una volta parliamo di loro, dei giovani: un momento della vita che dura troppo poco, in un niente ti accorgi che la giovinezza sta passando e che stanno svanendo speranze e pure qualche illusione meritevole di realizzazione. E nulla come i concorsi pubblici scandisce il tempo in maniera così netta. Ricordo un mio collega di università che si vide convocato per la prova orale di una selezione per vigile motociclista a più di dieci anni di distanza dagli scritti. Per sua fortuna non aveva vissuto in attesa di quel giorno e la sua storia aveva imboccato altre strade. Oggi il concorso è quasi un’eccezione, è restata solo l’attesa per l’occasione che non arriva o, quando arriva, ha con sé la scadenza, quasi fosse una busta di latte fresco da bere subito. Il problema è che nessuno garantisce la seconda razione. Tocca cercarla altrove, fuor di metafora bisogna cercarsi un altro lavoro. E così si continua di anno in anno, inseguendo una stabilità che gli esperti definiscono ormai irraggiungibile. Ma gli esperti si rintanano poi nei loro studi di consulenza e la comunicazione che un rapporto di lavoro non può continuare, nonostante il valore dimostrato sul campo, tocca a chi per mesi, a volte per lunghi anni, ha cercato di plasmare quei talenti, di assecondarli nelle loro crescita. Poi un giorno il circuito va in corto e bisogna ripartire tutti da zero. E’ una sofferenza doppia, sicuramente un fallimento per chi si vede costretto a tagliare. Loro, i ragazzi, hanno imparato a convivere con questa condizione di eterni precari; più difficile per loro diventa spiegarlo ai genitori, a chi tanti anni prima aveva inseguito la stabilità, il posto fisso, il reddito sicuro a fine mese. Per la prima volta dal dopoguerra accade che lo stato dei figli sia meno agiato di quello dei propri genitori e la dipendenza da padri e madri continua nel tempo, molto al di là del tempo naturale. A questo punto non so più neppure quanto sia bella giovinezza, come cantava nell’incantato Rinascimento Lorenzo de’ Medici, sicuramente oggi molto più di allora “del doman non v’è certezza”. Purtroppo per tutti. MASSIMO CORCIONE