A cura della Redazione
Due epoche parallele, ma non indipendenti, si chiudono quasi contemporaneamente. Finisce la legislatura di un Parlamento non indimenticabile per l’attività svolta e un Pontificato si esaurisce con un atto quasi sconosciuto nella storia della Chiesa: le dimissioni di Benedetto XVI. Il secondo evento ha prodotto un senso di precarietà diffuso ed esteso anche a chi non può definirsi un cattolico praticante: quel mistero dell’abbandono resisterà per chi sa quanto tempo e ispirerà chi sa quante ricostruzioni. Le nuove elezioni politiche generano, invece, liberazione per una situazione insostenibile e incertezze su come andrà a finire. Ci sarebbe anche la speranza nel cambiamento, in un futuro più stabile, per la Chiesa e per lo Stato, ma in questo momento si fatica a trovare ottimismo in giro. Accantoniamo per ora il Conclave, che per definizione dovrebbe essere illuminato dall’Alto nella scelta, e concentriamoci sul voto assegnato a ciascuno di noi come cittadini. Scegliere costa sofferenza, qualche volta, e le conseguenze le vivremo sulla pelle. La nostra è già sufficientemente scottata da illusioni fastidiose come bruciature. Per guarire la scheda è insieme medicina e arma, le ultime che ci restano prima della resa che nessuno di noi ha neppure messo in preventivo come soluzione estrema. Il voto è la nostra voce, il megafono attraverso il quale gridare le nostre ragioni e le nostre aspettative. Sono tante e tutte legittime, ci serve solo chi possa rappresentarle, là dove molto se non tutto si decide. Quante volte in questa estenuante campagna elettorale s’è discusso di voto utile? Alla sua maniera l’ha cantato anche Adriano Celentano. Per noi è utile il voto che possa testimoniare la nostra presenza, dia la prova della nostra stessa esistenza. A me, da emigrante, resta il rammarico di dover votare per chi non conosce la mia storia, né le mie radici. Ecco, in questo, il mio sarà un voto inutile, almeno per Torre Annunziata. In occasioni come queste vi invidio, mentre in me prevale il senso di impotenza. In tv hanno parlato solo loro, i leader, e spesso hanno parlato tra di loro, pur rifiutando il confronto diretto. Hanno preferito, tutti tranne uno, le piazze mediatiche alla piazze reali, hanno stretto mani e ascoltato distrattamente le istanze che arrivavano dal basso. E, in queste ore di immediata vigilia, il tema delle alleanze ha stracciato ulteriormente ogni riferimento ai programmi. Destra e sinistra pari sono se non risolvono alcuno dei problemi che ci angosciano. Per una volta ancora facciamo i tifosi: un voto per Torre non è un voto inutile. Fate i vostri calcoli, possiamo mandare un torrese a Roma. Più che un onorevole, sarebbe un ambasciatore, inviato per negoziare il nostro rilancio. Ricordate l’invito di Totò per convincere il proprio caseggiato a votarlo? E’ più di un suggerimento. MASSIMO CORCIONE