A cura della Redazione
Vedere entrare dei banditi mentre si è in fila alla cassa del supermercato deve essere una di quelle esperienze che non ti abbandonano più. Da Pettorino la scena si è ripetuta spesso negli ultimi anni per non lasciar traccia nell’animo dei proprietari e di quanti frequentano quel luogo come clienti o come dipendenti. Insieme, tutti chiedono maggiore protezione, segno che l’allarme lanciato da TorreSette solo una settimana fa era assolutamente reale, valicando anche quella linea immaginaria che secondo molti separerebbe il nord dal sud della città. Si sta male ovunque e qualcosa si dovrà pur fare per uscire da questa emergenza. L’analisi più scontata e, francamente, pure la più inutile porta al rimpianto per chi adesso non c’è più, non per fine improvvisa ma per naturale progressione di carriera. Il capitano Toti adesso non è più capitano, presto lo vedremo probabilmente in posti di grande responsabilità; a lui resteranno legati ricordi piacevolissimi: la pulizia radicale della città e un’attività di educazione civica che neppure il più zelante dei professori di storia ha mai impartito da una cattedra. Si sente l’assenza, la mancata presenza sul territorio, l’invito a parlare, a confidarsi, il contatto che aveva fatto di quel carabiniere un amico di Torre Annunziata. Senza alcuna complicità, nel pieno rispetto dei ruoli. Basterebbe seguirne la traccia lasciata proprio lì, in strada, dove scendeva con i suoi uomini per mostrare che lo Stato è anche qui. Il rimpianto, dunque, non serve, non in questo momento dove bisogna evitare che tante piccole piovre impazzite ci strangolino. Perché questo è il rischio, le rapine al supermarket sono un segnale inequivocabile che nessuno può permettersi di sottovalutare. Una ragione in più per scegliere chi dovrà rappresentarci dove tutto si decide. Ma voglio parlare anche di un’altra violenza, non meno fastidiosa. Le parole, a volte, possono fare ancora più male. E’ capitato a Marco Guida, il miglior arbitro giovane del calcio italiano, sopportarne le conseguenze. Essere giudicato dalla carta d’identità produce un dolore maggiore di un pugno in piena faccia, di quelli che ti mettono kappaò. La solidarietà trovata e la stima immutata lo aiuteranno a uscire da questo incubo nel quale è caduto. Avrebbe voluto gridare al mondo che tifa Savoia, come tutti noi torresi, segno di un’identità per fortuna ancora fortissima. Non toglieteci pure questa. MASSIMO CORCIONE