A cura della Redazione
Ci sono immagini che entrano nella memoria anche se non le hai viste: la fila alla mensa dei poveri con operai e diseredati insieme per la sopravvivenza è una di queste. La partecipazione (virtuale) al dramma (reale) è stata totale, come il senso di impotenza che prende tutti davanti a scene del genere. Da sempre il lavoro è stato l’antidoto alla povertà, il mezzo per garantirsi un’esistenza almeno dignitosa. Tutto questo è saltato: il senso di precarietà ha distrutto ogni certezza, quello che a volte era un punto d’arrivo, il posto in fabbrica, adesso s’è ridotto a uno strapuntino che spesso senti sempre più instabile. E allora ecco che scene come queste, nella grande piazza del web, suscitano tutti i sentimenti più avvilenti: dalla sorpresa per ciò che nessuno riteneva realizzabile, all’indignazione per come si sia arrivati a tanto, alla rassegnazione per una situazione che non si può prevedere quando finirà. Torre Annunziata non s’è mai sentita così povera: le casse comunali (qui come in tutta Italia) sono vuote, quelle delle famiglie stanno, se possibile, anche peggio. E pure le speranze vivono una recessione senza fine. Per uscire dalla crisi ogni strada va battuta, vietato arroccarsi su posizioni pregiudiziali. Abbiamo una sola, fondamentale, esigenza: far scattare un percorso virtuoso che distribuisca finalmente un po’ di benessere. E’ questa l’unica alternativa alla colossale paura per il futuro che in città s’avverte sempre di più. Il giallo ancora irrisolto del panico diffuso nel giorno della festa si spiega così. Le giovani generazioni vorrebbero riappropriarsi il diritto di scegliere che cosa fare da grandi. Per ora sono costretti a subire, anche la decisione di lasciare Torre - spesso l’unica ipotesi a disposizione - non sempre è consapevole. Questa non è vita, non è libertà, è il triste risultato imposto da regole ingiuste. Davanti alle quali che cosa fare? Il potere non è nelle nostre mani, ma in quelle di chi decide per noi. E’ sempre più ingombrante il dubbio che la gravità della situazione non sia stata pienamente percepita al centro, nel Palazzo. E crescono le distanze, il distacco tra noi e loro; è come appartenere a due mondi diversi, divergenti e neppure paralleli. Il ponte deve costruirlo la politica locale, gli amministratori che noi abbiamo designato a governare la nostra piccola realtà. Hanno una responsabilità infinita: la richiesta d’attenzione e le proposte per possibili cambiamenti devono partire da coloro che ci rappresentano. Quelle file alla benemerita mensa per la sopravvivenza devono essere il punto per ripartire. Indignarsi solo non basta. MASSIMO CORCIONE