A cura della Redazione
Il mio pensiero lo dichiaro subito: non credo che quel che è successo la sera di lunedì renda Torre Annunziata meno vivibile di quanto non lo fosse fino al giorno prima: l’esplosione di panico è un fenomeno imprevedibile, la reazione si spiega con il clima di precarietà che in questo periodo tutti viviamo, a tutte le latitudini italiane. In questo Torre non è diversa da Milano o dai tanti piccoli comuni che ospitano chi ha scelto di andar via. E trovo sterile e insopportabile la polemica tra chi è rimasto qui e chi ha deciso di fare l’emigrante: è solo una fiera di luoghi comuni che non andrebbero mai frequentati. L’obiettivo, per tutti noi, deve essere quello di cambiare in meglio la città. E ogni contributo, di idee o di semplice manovalanza, è utile e gradito. La polemica serve a niente, e ancor meno la dietrologia che fa dubitare delle ricostruzioni fatte del non episodio. Apprezzabile e ricca di speranze positive è stata invece la reazione del giorno dopo: nessuna clausura forzata, ma di nuovo tutti in strada per riappropriarsi la propria vita, senza lasciarla condizionata da una bravata o, peggio ancora, dal nulla. Io non ho paura, hanno gridato in tanti. Ma la paura non è un sentimento di cui aver vergogna, è il più umano degli stati d’animo quando la ragione non basta a comprendere ciò che sta accadendo. Quella che si leggeva negli occhi di chi lunedì fuggiva ancora-non-si-sa-da-che-cosa era solo disperazione, e quella fuga era quasi una metafora. Voglia di scappare dal presente (non necessariamente da Torre) per correre verso un futuro diverso (non per forza lontano da Torre). Quasi un contrappasso che ciò sia avvenuto nel giorno della festa più classica, quando anche chi non ha una fede incrollabile, non resiste alla tentazione di tornare per celebrare il 22 ottobre.
*****
La giornata resterà nella memoria di molti anche per l’addio dato a Ida Farinelli, una signora che ha segnato un’epoca nella piccola storia torrese. Aprì il suo Fa.ida quando faceva chic chiamare boutique un negozio più raffinato. Da quei due piani sempre stivati di vestiti sono passate intere generazioni che si sono affidate al suo gusto e le hanno consegnato grandi e minuscoli segreti di vita. Insieme al marito Peppe, ha sempre ricevuto tutti con il riguardo che si deve all’ospite che viene a trovarti. E molti ritrovavano un ambiente familiare dove l’acquisto era un momento, non il più importante di quella visita. Ha visto ragazzine diventare donne, mamme, qualcuna anche nonna; ha visto giovanotti un po’ rompiscatole tornare con i propri figli ripetendo scene di trent’anni prima. Quell’assenza oggi è un vuoto, un pezzo di vita che se ne va, una vetrina improvvisamente vuota. MASSIMO CORCIONE