A cura della Redazione
L’impressione è stata la stessa che guardarsi allo specchio con improvvisa attenzione: le piccole rughe sono diventate solchi, le impercettibili efelidi si sono trasformate in macchie che denunciano impietosamente il passaggio degli anni. Ma quello, sono proprio io? Viene da domandarsi, non credendo al responso dell’immagine riflessa. La sensazione l’abbiamo provata tutti noi torresi che giovedì ci siamo visti sbattere sulla prima pagina del primo quotidiano d’Italia la triste storia della villa di Poppea, il tesoro che chi sa quante volte abbiamo descritto ai nostri nuovi amici, vanto di una popolazione dispersa nel mondo e sempre visceralmente attaccata alle proprie radici. Ma quella è davvero Torre Annunziata? E’ venuto da chiedersi scorrendo le novemila battute vergate da Gian Antonio Stella, uno degli apostoli dell’antispreco, il nemico dichiarato delle caste. Una firma che automaticamente attribuisce carattere di verità assoluta a qualsiasi racconto. Anche a questo, dove i dettagli sono un po’ affastellati, mettendo insieme epoche diverse: Fortàpasc, la città delle cronache di Giancarlo Siani, è lontana 28 anni, un tempo in cui non proprio tutto è rimasto immutato. Le strade pavimentate come il salotto di casa emergono da qualche ritaglio e la collocazione geografica del commissariato non ha impedito che la polizia partecipasse, con i carabinieri alla meritoria opera di bonifica che aveva fatto sperare tutti noi in un futuro non più dominato dalla camorra. Che c’entra poco con la fine dei pastifici, affossati da una gestione miope dei proprietari, fagocitati da imprese sempre più grandi e sempre meno artigianali. Molti degli sconci edilizi descritti, poi, risalgono a un trapassato murattiano non imputabile a nessuno dei contemporanei. E, infine, quella descrizione di Goethe, be’, la citano solo i nostalgici, un partito che nessuna elezione cancellerà mai. Restano le inefficienze, quelle sì indubitabili, sotto gli occhi di tutti: praticamente nulla è stato fatto per la valorizzazione degli Scavi di Oplonti. E da ben più dei venticinque anni che ci separano dall’esposizione degli Ori a Castel Sant’Angelo citata dal Corriere. Questione di priorità, è stato sempre ripetuto, ma non esistono altre priorità che possano sopravanzare le uniche fonti possibili per la nostra sopravvivenza. E’ vero anche che è sempre mancata una mobilitazione popolare, una civile insurrezione di coscienze contro l’abbandono cui comunque siamo stati condannati. Colpa di un centro che ci dimentica, ma anche di un potere locale che per Oplonti ha sempre combattuto poco. Essere stati esclusi dalla possibilità di accedere a quei cento e passa milioni stanziati per gli interventi su Pompei è una scelta ulteriore di disinteresse per la nostra condizione alla quale non è seguita nessuna risposta perentoria. Non è uno scandalo avere trentotto addetti al sito archeologico, è scandaloso tenerlo nascosto o peggio ancora vederlo affiancato nelle guide ai codici di massima pericolosità senza che nulla sia stato fatto per cambiare. Ma non esiste un solo colpevole, siamo tutti responsabili dell’immagine che gli altri, pure Gian Antonio Stella, hanno di Torre Annunziata. Non basta l’indignazione, occorre che segua l’azione. Quella che molte volte è mancata MASSIMO CORCIONE