A cura della Redazione
Sta per arrivare un altro anno zero, speriamo che sia quello buono. Per ricominciare, per ripartire verso un futuro che non sia avvolto nella nebbia dell’incertezza. Come saremo nel 2011? Come diventeremo? Dove andremo? Più che semplici domande, sono quesiti che minacciano di angosciarci in questi giorni che restano di festa. Accantonarli non servirebbe, resterebbero lì ad attenderci quando capitone e struffoli saranno già stati digeriti. Di sicuro saremo senza due torresi che qualcosa hanno provato a farla: Maria Orsini e Dino De Laurentiis ci guarderanno da chi sa dove e qualche rimpianto continueranno ad avercelo anche da lontanissimo. Inseguire la Torre Annunziata dei loro ricordi, del tempo delle carrozze e della pasta lasciata ad asciugare sui pastifici, oppure la città sede della Camera del Lavoro più agguerrita nelle prime lotte operaie è meno di una chimera, i conti dobbiamo farli con il presente, con una precarietà che non nasconde grandi speranze. La memoria serve a dare corpo ai nostri progetti, il passato costituisce una ricchezza, ma non può rappresentare un limite. Le pagine della Signora Maria, i film del primo produttore nella storia del cinema italiano rappresentano la conferma che si può partire anche da qui per viaggiare lontano. Se poi la marcia si conclude con il ritorno a casa, con la restituzione delle esperienze maturate altrove, allora è il massimo. Storie di ieri che s’intrecciano con storie di oggi, con la vicenda senza fine della vedova Veropalumbo, in cerca di un cenno d’attenzione che dimostri come la tragedia di suo marito, ammazzato mentre era a tavola l’ultimo giorno dell’anno, non sia stata dimenticata. Chiede un lavoro, lei come migliaia di giovani che vorrebbero non emigrare. Nessuna intenzione di rinfocolare la polemica tra chi è andato e chi è restato, la più sterile delle battaglie combattuta mentre la situazione sul campo è drammatica. Il vero problema è che cosa fare, quale strada intraprendere, perfino a chi chiedere aiuto. Il naufragio della zattera della Zona Franca non può essere metabolizzato senza lasciar tracce sulla nostra pelle. Siamo già troppo segnati dalle delusioni passate, dai miraggi della Tess, ancor prima dai troppi tentativi di imporre una vocazione industriale che forse andava accompagnata dalla creazione di alternative. Non ci sono mai state, e questo è l’effetto. La politica non ci concede molte chances, La nostra perenne emergenza è stretta tra mille contingenze, dall’immondizia alle liti condominiali nei Palazzi del Potere. Il rischio di finire stritolati è altissimo, tocca fare da noi. Sfruttando ogni opportunità, ogni finanziamento, ogni occasione. Anche il rifacimento di una piazza deve trasformarsi in un volano, uno strumento di sviluppo e non solo perché i lavori pubblici possono favorire una piccola ripresa dell’occupazione. Discutere fa bene, confrontarsi fa crescere, ma la concretezza impone che si passi dalla teoria alla pratica. Prima che sia troppo tardi. Per ora facciamo pure festa, comunque sia andata, ce la siamo meritata. Poi, tutti in campo a giocare la partita per Torre. Perché dopo l’anno zero viene solo la fine. MASSIMO CORCIONE