A cura della Redazione
Se la festa è specchio di un popolo, la nostra è di una nitidezza straordinaria. Avremmo mai potuto noi organizzare una parata di quelle ordinate, asburgicamente perfette nel dettaglio e nel particolare più nascosti? Impossibile, avremmo disorientato gli ospiti arrivati dalla Foresta Nera al seguito di Oscar Guidone, sarebbe stata una palese contraddizione con il resto della nostra vita quotidiana, avrebbe significato indossare per un giorno non solo l’abito buono, ma anche l’abito di un altro. Così la processione di giovedì è apparsa come un’esplosione spontanea di energia popolare che rappresenta insieme la nostra forza e il nostro punto debole. Vedere tanta gente radunata in strada per onorare un prodigio attribuito alla Madonna della Neve è uno spettacolo che va al di là dei confini personalissimi della fede religiosa. Oltre la devozione, contava esserci, gridare presente alla chiamata del cuore. E l’adesione è stata massiccia, per qualche ora il Corso ha ospitato una moltitudine di torresi che non vedi neppure a Natale o a Ferragosto. Questa è la riserva di energia popolare che viene messa in campo ogni qualvolta un evento lo richieda: una festa o una partita, la differenza conta poco. E’ comunque energia positiva che altri non riescono a produrre, andrebbe tutelata come un prodotto di origine altamente garantita. I problemi nascono sempre dopo, quando questo carburante naturale deve trasformarsi in propellente per spingere la macchina della città: in quel momento tutto evapora, si scompone in mille particelle più piccole di atomi. Non so se avete già colto il paragone, ma il riferimento è quello solito, alla situazione cittadina sempre più disgregata. Si riservano percentuali plebiscitarie a maggioranze che sembrano blindate e poi tutto si disgrega. I tentativi di ricomposizione durano meno dello spazio di una notte, insomma la paralisi resta la condizione permanente nella gestione della cosa pubblica. Ecco, niente rappresenta meglio il nostro status dei mille rivoli nei quasi si disperde lo struscio nel giorno della festa. E’ l’esemplificazione perfetta della nostra lenta eutanasia: raccontiamo tutti che stiamo vivendo la crisi peggiore della storia recente, denunciamo il senso di opera incompiuta per un’azione di polizia senza precedenti ma anche senza interventi paralleli di rilancio economico, registriamo sinistri avvertimenti di una esasperazione che monta a Napoli come in provincia, e poi ci dividiamo sulle piccole questioni, sulle poltrone più che sui nomi. E soprattutto giochiamo a imitare il peggio della politica nazionale: gli intrighi di parte e le polemiche avvelenate tra controparti. La situazione è disperata, mentre nel resto del Paese si parla di ritorno al posto fisso, qui perdiamo la speranza nel precariato. La distanza è abissale, abbiamo bisogno di aiuto, ma non di assistenza. Siamo passati attraverso la finanza creativa, la politica delle grandi opere: tutto fumo, d’accordo, ma ci avevano escluso pure da quello. A noi, per generosa concessione, a stento hanno lasciato qualche amarcord. Di ricordi non si vive, se hai vent’anni e nessun futuro davanti. Quel futuro va disegnato, oppure non resta che la fuga. Ma questo è il periodo peggiore per emigrare. Sono riflessioni amare, maturate incontrando volti familiari segnati dal tempo e una bella gioventù che ha diritto a vivere una vita altrettanto bella. Restiamo uniti, non solo per la festa. MASSIMO CORCIONE