A cura della Redazione
Siamo ossessionati dal sospetto che qualcuno viva meglio di noi, soffra meno di noi, guardi con maggior favore verso il futuro. Effetto della recessione che rischia di fermare il mondo: il clima di precarietà che ci avvolge finisce per condizionare l’umore, ci rende meno tranquilli, più diffidenti. Queste riflessioni, che non hanno nulla di filosofico, si sono materializzate durante un breve soggiorno a Istanbul. Non passeggiando da turista lungo le stradine dell’ex capitale di un impero, ma partecipando a riunioni di lavoro con giovani appena reclutati per un progetto nuovo nel quale – per una volta almeno - noi italiani siamo diventati punto di riferimento creativo. L’entusiasmo, la voglia di ideare un prodotto (naturalmente televisivo) che sia alternativo a quello eistente sono stati contagiosi. Non accade spesso, l’effetto è sempre strepitoso. Ma il Paradiso, in questa dimensione terrena, non esiste. Neppure in Turchia, paese che vive, ingigantite, le nostre angosce: l’economia attraversa una crisi strutturale pazzesca, le spinte integraliste sono spallate alla stessa democrazia. Negli occhi di quei ragazzi radunati intorno a un tavolo con vista sul mare che ricorda il nostro mare, ho letto però la voglia di scommettere, di mettersi in gioco che spesso a noi manca. Forse è stata solo un’illusione, ma resterà comunque un’esperienza esaltante. Consumata in una città dalle mille contraddizioni, dove chador e minigonne convivono senza che tu possa capire come, dove il compromesso è un velo griffato che contorna un volto esageratamente truccato, dove lavori come un matto per dodici ore, ma non rinunci a vivere gioiosamente la notte. Sarà una mia deformazione da emigrante, non riesco a evitare i paragoni con la mia realtà quotidiana (italiana in generale, torrese in particolare), fatta spesso di recriminazioni se non di rassegnazione. A noi è venuto meno l’entusiasmo, il piacere della piccola scoperta. Ci siamo incattiviti, ma soprattutto paralizzati nelle idee. Ora proviamo a vendere quello che abbiamo costruito nel recente passato, ma c’è da pensare al domani. Guardiamo dal buco della serratura il più squallido degli spettacoli, facciamo a gara per recensirlo con somma indignazione, e dimentichiamo che occorre creare il nuovo. Gli altri sono già pronti per riprendere a correre, magari sfruttando il nostro patrimonio di conoscenze, e noi siamo fermi. MASSIMO CORCIONE