A cura della Redazione
Sono passati ventinove anni da quando toccò a noi, da quando vedemmo sconvolte le nostre città, cancellati paesaggi urbani ai quali eravamo abituati da generazioni. Eppure sono bastate poche immagini per riaprire vecchie ferite. Quelle sequenze della tragedia abruzzese almeno per noi sembrano uscite dall’archivio della memoria, e invece è storia di oggi: paesi distrutti, chiese e campanili sgretolati, volti segnati dal terrore che chi sa quando verranno nuovamente solcati dal sorriso. Questo è il terremoto, l’esperienza più sconvolgente nella vita di una popolazione, ancor più della guerra dove c’è un nemico che ti ha dichiarato guerra. Se arriva la scossa devastante è la terra che ti si rivolta contro, che stravolge il tuo mondo, che azzera la vita di intere famiglie. Come quella di un finanziere torrese che ha perso moglie e figlio. Essere spettatori di un dramma collettivo procura grandi angosce, non sai che cosa fare, come aiutare chi in quel momento pare aver bisogno di tutto. Aderire a una sottoscrizione non è rimedio sufficiente a placare la coscienza. In tre decenni, quanti ne sono trascorsi tra il sisma del 1980 e questo dell’Aquila, i passi avanti sono stati giganteschi. Allora la protezione civile era inesistente, stavolta ha dato prova di straordinaria efficienza, ma il difficile – allora come oggi – verrà dopo, quando i riflettori si spegneranno, quando altri eventi irromperanno sulle pagine dei giornali e nei sommari dei tg. Le tracce del terremoto ancora si trovano girando per Torre Annunziata, e non sono segni di una trasformazione, di una evoluzione. Il terremoto per noi non fu solo una disgrazia, fu pure un’occasione persa. Lo dico cinicamente: altrove i fondi del post terremoto hanno rappresentato un volano per nuove iniziative, hanno prodotto la modernizzazione delle strutture urbane, hanno generato lavoro. Altrove, ma non qui. Ormai non conta più stabilire di chi fu la colpa, se di una politica debole o di una delinquenza imperante. Resta il risultato, con quartieri costruiti e già da ricostruire, con scuole ultimate quando ormai non se ne ravvisava più la necessità, con il famigerato Quadrilatero consegnato a coloro che per anni ne hanno fatto un fortino inespugnabile. Altro che Fortapàsc. Ora che ci sentiamo un po’ più liberi, riusciamo sempre a farci del male, litigando tutti su tutto. Al Sindaco tocca il compito più difficile: garantire che la macchina marci senza perdere i pezzi migliori. A volte è soprattutto una questione di scelte. Giosuè Starita ha il potere di farle, le scelte giuste. Impedendo di tornare indietro nel tempo, quando le scosse minarono lo stesso concetto di legalità. MASSIMO CORCIONE