A lui fu dedicata addirittura la copertina del più diffuso settimanale italiano del secolo scorso, “La  Domenica del Corriere” del 5-12 novembre 1916, per celebrare il suo eroismo durante la prima guerra mondiale. E gli era stata concessa il mese prima, il 13 ottobre, direttamente dal re Vittorio Emanuele III, la medaglia d’oro al valor  militare, con la seguente motivazione:

«Pilota di un apparecchio attaccato, a circa 3000 metri di altezza, da un velivolo da caccia nemico, visto nel combattimento aereo colpiti a morte i suoi compagni e forati i serbatoi della benzina, con sangue freddo eccezionale, mentre l’apparecchio precipitava, lasciava la mitragliatrice che fino a quel momento manovrava, benché ferito al braccio sinistro, riusciva a raddrizzare il velivolo a meno di 300 metri da terra e, planando, atterrava presso Zarnec, a circa 50 chilometri dalle nostre linee. Dato subito fuoco all’apparecchio e distruttolo, benché esausto dalla perdita di sangue, riusciva a sfuggire alla cattura. Assalito da un indigeno si liberava uccidendolo e dopo sette giorni di tensione di spirito, di gravi sofferenze e privazioni, dando prova di energia e di forza d’animo straordinarie, riusciva ad attraversare le linee nemiche ed a presentarsi ai nostri avamposti sulla Vojussa. Cielo di Zarnec, 13 ottobre 1916».

Purtroppo, una volta raggiunto l’accampamento italiano, dovette subire la parziale amputazione della gamba ferita, nel frattempo andata in cancrena. 
Di chi stiamo parlando? Di un nostro concittadino, Ercole Ercole. Nato a Torre Annunziata il 23 marzo del 1887 (atto 306), in vico Gelso al numero 7, da Salvatore, capotecnico di artiglieria della Real Fabbrica d’Armi, e da Amelia Della Camera, casalinga, Ercole aveva altri due nomi, Francesco e Gustavo.

Conseguito il brevetto di pilota d’aeroplano, con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 combattè prima nel Regio Esercito e poi transitò, con il grado di capitano, nel Battaglione Aviatori.  Ottenendo una prima medaglia, d’argento, insieme al tenente Giulio Laureati, perché: 
«Piloti d’aeroplano, durante un’azione offensiva sul nemico, spezzatosi uno dei motori del loro apparecchio mentre eseguivano lancio di bombe, compievano ugualmente il loro mandato dopo aver provveduto, con ammirevole sangue freddo, ad eliminare il pericolo di un incendio a bordo. Con lunga e difficilissima navigazione, seppero, poi, ricondurre al campo il velivolo, che progressivamente perdeva quota, sotto l’efficace ed intenso fuoco d’artiglieria nemica, Lubiana 18 febbraio 1916».

Circa otto mesi dopo fu decorato con medaglia d’oro e, successivamente,  continuò a distinguersi per il suo valore durante tutta la Grande Guerra. Nel 1923 era nella Regia Aeronautica, dove raggiunse i massimi vertici, fino al grado  di generale di brigata aerea. Morì a Roma il 2 ottobre 1967 (atto 1399), all’età di ottant’anni. 

La città di Torre Annunziata, per onorare questo suo valoroso cittadino, gli ha intitolato la strada che termina in via Provinciale Schiti, partendo dall’incrocio di via Sant’Antonio con via Bottaro.  

(foto collezione Giuseppe Mesisca)

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