«Questa signora vicino a mio padre Gino è Lina Merlin, la senatrice socialista che con una legge da lei proposta fece chiudere le case di tolleranza nel 1958. In questa foto sono entrambi al confino a Nuoro».

A parlare è Tullio Alfani, che mi ha accolto nella sua casa al civico 80 della strada intitolata al padre. E’ con la moglie Maria Cinno e mi sta concedendo un’intervista. In questa lunga chiacchierata con lui, però, non parleremo del Gino Alfani politico ma della sua famiglia, della sua vita privata e solo di avvenimenti legati in qualche modo alla sua attività politica. E cominciamo dalla nascita. Luigi, Emmanuele (con due emme!), Giuseppe, Andrea Alfani, come risulta dall’atto numero 199 del Comune di Agnone, un paese della provincia di Campobasso (dal 1970 di Isernia, ndr), è nato alle ore 14 del 10 maggio 1866 - così afferma il cortese impiegato dell’anagrafe Bruno Cerimele, da me contattato telefonicamente - da Nicola, di anni 35,  e Teresa Martingano, di anni 30.
Ma i suoi genitori non erano originari di questo paese, provenivano probabilmente dalla Campania ed erano lì semplicemente perché il padre Nicola, magistrato, era stato assegnato alla pretura di Agnone. «I miei nonni ebbero cinque figli, due maschi (oltre a Luigi, Errico) e tre femmine - così inizia Tullio -, poi si trasferirono a Napoli dove purtroppo mio nonno morì prematuramente e nonna Teresa dovette pensare da sola a crescere i figli».
Tullio si aiuta, nei suoi ricordi, anche leggendomi alcuni passi del libro “Gino Alfani, il primo deputato comunista campano”, scritto dal parlamentare torrese Angelo Abenante, che per una strana coincidenza è nato anche lui il 10 maggio, ma del 1927. 

Il racconto di Tullio continua con un avvenimento drammatico della vita del padre. «Gino Alfani sposò Maddalena Del Vecchio ma la moglie morì il 17 giugno 1903, dopo aver partorito la figlia Amalia, detta Titina. Successivamente conobbe ad Amalfi Teresa Lucibelli, che divenne la sua seconda moglie».  A questo punto ci racconta un particolare curioso e divertente. «Mia madre Teresa, per far cambiare idea a mio padre che era ateo, lo mandò a parlare con il parroco di Amalfi. Passarono diverse ore ma Gino non rientrava. Teresa, preoccupata, lo andò a cercare in chiesa e vide che discuteva animatamente con il prete, il quale, rivolgendosi a lei, le disse... di portarselo via, altrimenti avrebbe fatto diventare ateo anche lui!». 
Parliamo, però, in modo più approfondito di Teresa, e lo facciamo, su consiglio di Tullio e Maria, rivolgendoci con una telefonata al nipote, dottor Giuseppe Lucibelli, veterinario, collega giornalista e memoria storica del Savoia. 
«Teresa era la sorella di mio nonno Luigi - esordisce Lucibelli - e risiedeva con i genitori Andrea e Rosa Fusco ad Amalfi, quando conobbe Gino Alfani. Ma era nata ad Agerola, il paese natale della madre, il 17 settembre 1882. La moglie di Gino Alfani si chiamava Teresa, Anna, Maria, Giacomina, nata alle 18.15, atto 116, da Andrea, 42 anni, e Rosa, 29 anni (come ci riferisce l’ufficio anagrafe di Agerola, ndr). Era la sesta di dodici figli: Luisella e Maria Antonia, morte piccole, Pietro, Lorenzo, Maria Antonia che prese il nome della sorellina defunta, Giuseppe, Basilio, Rodolfo, Alessandro, Antonio, Luigi e, logicamente, Teresa. Si sposò con Gino Alfani ad Amalfi l’8 giugno 1907. Lui aveva 41 anni e lei circa 25».
A questo punto riprende il filo del discorso Tullio. «I miei genitori hanno avuto sette figli: Laura, Arnaldo, Libero, Vera, Sergio, che purtroppo sono deceduti, poi Alba che vive a Roma ed ha 97 anni ed infine io che ne avrò 93 il prossimo 10 settembre. Tutti nati a Torre Annunziata dove risiedevamo in via Dante, 5. Si trasferirono nella nostra città perché mio padre divenne segretario della Camera del Lavoro nel 1908». 

In seguito Gino ricoprirà la carica di consigliere provinciale nel 1914 e di sindaco di Torre Annunziata nel 1920 per il Partito Socialista, e di deputato nel 1924 per il Partito Comunista. «Come primo atto da sindaco fece togliere i quadri dei Sovrani dal suo ufficio e dal consiglio comunale - ci dice Tullio - e proclamò uno sciopero generale di protesta quando fu emesso il provvedimento di rimetterli a posto». Nel 1926, Alfani venne dichiarato decaduto da deputato dal regime fascista, fu arrestato, assegnato al confino a Nuoro a dicembre e trasferito a Lipari, sempre al confino, nel febbraio dell’anno successivo. «In quel periodo la nostra famiglia visse una situazione di grave indigenza, aiutata economicamente da mio zio Errico, dal cognato di mio padre Luigi Lucibelli, oltre che da sottoscrizioni di operai dell’Ilva, di mugnai e pastai». Nel giugno del 1928 Gino Alfani fu nuovamente arrestato e deferito al tribunale speciale, insieme ad Antonio Gramsci ed altri. Al “processone” fu assolto ma per essersi dissociato dalla linea di difesa degli altri imputati fu espulso dal Partito Comunista. Ritornato a Torre Annunziata, fu continuamente sorvegliato, sottoposto a perquisizioni in casa, impedito nella sua attività di avvocato che, tra l’altro, svolgeva gratuitamente per gli operai indigenti. Morì all’età di circa 76 anni, il 28 febbraio 1942. Mentre la moglie Teresa è deceduta il 14 febbraio 1977, a 95 anni. «Il corteo funebre, che abitualmente partiva da via Dante, proseguiva per piazza Santa Teresa e poi per il Corso, fu deviato su via Vittorio Veneto - prosegue Tullio -, per la via più breve verso il cimitero, sorvegliato dalla polizia, che filmava i partecipanti, ma seguito da una moltitudine di cittadini. Evidentemente mio padre faceva paura anche da morto!». Il racconto di Tullio volge alla conclusione con un altro ricordo “post mortem”. «Di lì a pochi anni Palmiro Togliatti, segretario del PCI che aveva fatto espellere Gino Alfani dal partito, in un comizio a Torre Annunziata chiese agli elettori di votare comunista in memoria dell’uomo che li aveva giudati in tante lotte. La città operaia rispose compatta. Il ritratto di mio padre fu voluto da Togliatti sul palco, ma nessuna parola fu pronunciata sulla sua ingiusta espulsione». A Gino Alfani è stata dedicata, nel terzo anniversario della sua scomparsa (una lapide è lì a ricordarlo) la strada più bella e panoramica di Torre Annunziata, intitolata in precedenza al gerarca fascista Italo Balbo. Nel cimitero torrese c’è un monumento in suo onore con la scritta “Libertà vo’ cercando ch’è sì cara”. Il PCI intitolò a lui la sezione del partito. E’ stato un grande uomo, soprattutto quando era a capo della Camera del Lavoro, per aver difeso i diritti dei lavoratori da angherie, sfruttamento, da infiltrazioni di agenti dei padroni nelle organizzazioni sindacali, condizionate anche dalla camorra, e per tale sua opera moralizzatrice subì anche uno sfregio con una rasoiata. La sua vita sia un esempio per i giovani torresi.