A cura della Redazione
Dopo quasi un mese di lavori, si è conclusa giovedì 19 giugno la campagna statunitense 2014 di scavo, studi e ricerca denominata “The Oplontis project” all’interno del sito archeologico di via Sepolcri. Anche quest’anno le operazioni condotte dal team diretto dal prof. John R. Clarcke e dal prof. Michael Thomas, dell’Università del Texas in Austin (USA), hanno regalato nuove scoperte relative al contesto archeologico e antropologico dell’antico sito di Oplontis. I lavori, che hanno visto impegnati i ricercatori e gli studiosi sia nella Villa “A”, meglio conosciuta di Poppea Sabina, che nella Villa “B”, detta di Lucius Crassius Terzius, si sono articolati in diverse fasi durante le quali sono state condotte differenti tipologie di ricerche e operazioni di rilievo in continuità con le campagne precedenti. Dopo la riattivazione del laboratorio allestito presso uno degli ambienti della Villa “A”, sono continuate le opere di catalogazione della miriade di frammenti pittorici accatastati nei vari depositi dell’edificio durante i quasi venti anni di scavo serviti per riportarlo alla luce. Le indagini del team statunitense, affiancato anche da una giovane dottoranda oplontina, Rita Scognamiglio, hanno portato al recupero di interessantissimi elementi pittorici - decorazioni di II e III Stile - la cui posizione di allocazione originaria non era mai stata individuata in precedenza nel corso del certosino lavoro di riposizionamento di quelle stesse parti pittoriche ritrovate durante i primi anni di scavo della Villa. Il lavoro degli esperti, in questo contesto, ha permesso di ricostruire, anche se in parte, intere scenografie pittoriche riuscendo ad integrare, anche se in maniera virtuale, parte di quelle già visibili in situ. Mentre proseguivano le attività di laboratorio, in tutto il periodo della campagna di quest’anno, la parte più sostanziosa della “spedizione” si è dedicata alle indagini sull’area archeologica della Villa “B”, un tempo appartenuta al magnate commerciante Lucius Crassius Tertius. Durante le due settimane di attività tra le mura della Villa “B”, ad affiancare, come avviene ogni anno, il direttivo statunitense seguito dal dr. Ivo Van der Graaf, sono ritornati i volontari inglesi del gruppo archeologico “SWAT”, con sede nel Kent, coordinati dal dr. Paul Gordon Wilkinson. In quest’altra fase di studi, sono state condotte svariate indagini mirate a rivelare ulteriori particolari utili per arricchire il vasto puzzle di elementi scientifici legati alla vita quotidiana di un tempo all’interno dell’edificio, e a comprendere eventuali fasi evolutive che hanno caratterizzato sia la parte architettonica della struttura che l’intero contesto commerciale. Per questo motivo, i tecnici si sono impegnati a realizzare importantissimi rilievi computerizzati. In seguito, i dati raccolti dagli architetti serviranno a ricreare nuove mappe della Villa e a realizzare ricostruzioni tridimensionali che potranno permettere uno studio specifico della struttura anche essendo lontani dal contesto reale. Dopo le fasi di scannerizzazione si è poi proseguito con i classici saggi di scavo, tutti limitati alla parte del grande peristilio interno alla Villa. Questo tipo di indagini ha riportato alla luce contesti archeologici fino ad oggi sconosciuti, alcuni dei quali rivelano e confermano l’esistenza di una articolata rete di canali e cisterne sotterranee, segno indiscutibile di un’eccezionale flusso di acque che al tempo doveva servire l’edifico. Ciò, secondo la valutazione degli archeologi, è da imputare all’importante attività di commercializzazione dei prodotti che affluivano ad Oplontis, per lo più vino e olio, che determinavano l’utilizzo di un quantitativo enorme di recipienti vari e di anfore. E infatti, proprio la preparazione di queste ultime richiedeva quantitativi di acqua importanti, in quanto si doveva provvedere, prima del loro riempimento e stoccaggio, ad un loro accurato lavaggio e trattamento. E mentre una parte del team di ricerca si occupava di indagare nel sottosuolo, anche oltre le stratigrafie precedenti all’eruzione del 79 d. C., un altro gruppo di studiosi ha avviato, proprio quest’anno, l’arduo lavoro di catalogazione e risistemazione di tutte quelle cassette di reperti - quasi un migliaio - rivenienti dallo scavo dell’edificio, stoccate da quasi trent’anni nelle fornici interne alla Villa. Il lavoro, non ancora ultimato, ha permesso di individuare preziosissimi frammenti di anfore di ogni sorta, alcuni dei quali recanti dei tituli picti (lettere dipinte a pennello). Inoltre sono stati rinvenuti frammenti di affreschi provenienti dagli ambienti patronali della Villa, riproducenti bellissimi motivi colorati. La villa “B”, a seguito di questa terza campagna di ricerche, si riconferma una struttura di grande interesse archeologico e antropologico. Gli esperti statunitensi, ogni qualvolta ritornano a Torre Annunziata, restano sempre più sbalorditi dell’immenso patrimonio di informazioni che si celano nel complesso archeologico oplontino, utilissime ad approfondire le conoscenze della modus vivendi romano legate alle nostre aree geografiche. L’intero contesto archeologico sarebbe da paragonare ad un laboratorio di ricerca a cielo aperto, dove gli osservatori di questo immenso libro di storia trovano sempre nuove pagine da leggere e studiare. Gli statunitensi, insieme agli amici britannici, volontari della cultura, con il loro irrinunciabile appuntamento annuale (siamo ormai giunti al settimo anno di ricerche) non negano l’accrescersi del loro interesse nel continuare gli studi nell’area oplontina rivelandoci, qualche volta, una loro volontà mirata a realizzare opere di scavo ben più ampie di quelle fino ad oggi eseguite. Oplontis è un’opportunità unica. E’ chiaro che nelle viscere del Vesuvio, sotto i piedi dei torresi, si nascondono ancora tantissime sorprese. L’interesse statunitense al nostro sito dovrebbe essere per la città di Torre Annunziata un’opportunità da sfruttare con attenzione. Nulla toglie, che in futuro, potrebbero esserci dei ritorni favorevoli anche in chiave di valorizzazione del territorio. Non bisogna fantasticare molto: una parte del sito archeologico di Oplontis potrebbe essere riconfigurata in laboratorio di archeologia sperimentale a cielo aperto, dove potrebbero formarsi gli archeologi del futuro direttamente su un territorio ricco di informazioni. Questo potrebbe rappresentare un ulteriore fattore di crescita per la città e la sua economia. Per ora restano solo delle idee formulate da chi sostiene vivamente che Torre Annunziata, sul piano storico-culturale, ha delle potenzialità eccezionali purtroppo ancora inespresse. Chissà se in un futuro prossimo, magari dopo il fantomatico “Museo di Oplontis”, a qualcuno verrebbe in mente di abbracciare questo sogno. VINCENZO MARASCO