A cura della Redazione
Il negotium della domus di Lucio Crassio Terzo (la Villa B di Oplonti, dove furono ritrovati gli oggetti in oro) sarà visitabile nella Villa di Poppea, che fu a suo tempo edificata per la pratica dell’otium romano. L’equipe dell’Istituto per la Diffusione delle Scienze Naturali, che collabora con l’Istituto di Ricerche della Soprintendenza archeologica vesuviana, ha in cantiere la nuova iniziativa sotto l’etichetta di “PompeiViva”. L’evento interesserà l’area archeologica di Oplonti a Torre Annunziata, con riflessi turistici sull’intera città. “PompeiViva” è il percorso culturale ideato dallo staff dell’ex commissario all’emergenza degli scavi di Pompei, Marcello Fiori. E’ stato lanciato nell’edizione 2010 della Bit di Milano, a sostegno della valorizzazione turistica dell’archeologia vesuviana. La prima iniziativa del genere è stata inaugurata l’estate scorsa nella domus di Iulius Polibius a Pompei, riproducendo uno spaccato culturale di duemila anni fa. Nella successiva esperienza sarà di scena proprio Oplontis. Il progetto cambia parzialmente, trasferendo sensazioni del negotium: suoni, immagini e profumi dell’attività produttiva e commerciale che si deduce dalla natura dei reperti archeologici scavati nella Villa B (o di Lucius Crassius Tertius) e nella Villa A (chiamata Villa di Poppaea). La villa di Crasso è una tipica costruzione pompeiana, che ai giorni nostri definiremmo fattoria o agriturismo, perché annette all’abitazione un comparto produttivo. Il business della Villa di Crasso era quello dei melograni, frutto che, come si vede dagli affreschi, trionfava sovente sulle tavole dei romani. Il progetto che riguarda Torre Annunziata è sotto la regia di Claudio Rodolfo Salerno, un naturalista di origine locale, ipovedente, che ha saputo fare della sua minorazione visiva una marcia in più a disposizione degli altri sensi (specialmente l’udito) utilizzati nella ricerca naturalistica. Il suo progetto prevede un allestimento multimediale nella Villa di Poppea, dove si coniugano archeologia e sinestesia mettendo a profitto know-how interno ed esterno alla Soprintendenza archeologica, con metodologie innovative, mai sperimentate prima. La produzione culturale del suo gruppo di lavoro, attualmente ubicato negli uffici di San Paolino dell’ex Commissariato di governo, si serve di moderne tecniche multimediali per creare effetti sonori che mettono in movimento spazi della memoria collegati agli stessi, grazie al gioco della contaminazione dei sensi. Lo scopo è di procurare al visitatore sensazioni di vita reale su un tracciato antico, utilizzando la stimolazione dei suoni che fanno scattare elementi sensoriali correlati di altra natura (olfattiva, tattile e/o visiva). Il territorio di Oplontis ci ha restituito due grandi ville, una di carattere signorile conosciuta come Villa A o di Poppaea, ed una seconda, la cosiddetta Villa B o di Lucius Crassus Tertius, di carattere produttivo e industriale. Poiché attualmente è accessibile al pubblico solo la Villa A, il team diretto da Salerno si è impegnato nella ricostruzione filologica della Villa B in un ambiente del complesso A, aperto tutti i giorni alle visite turistiche. Contrariamente alla Villa di Poppaea, probabilmente in fase di ristrutturazione al momento dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., la Villa di Lucius Crassus Tertius, che gli è stata attribuita per via del sigillo ritrovato che riporta la sigla L. CRS. TER., ha restituito notevoli tracce di operosità quotidiana in quanto abitata fino al momento dell’eruzione. In essa, nel 1984, furono trovati numerosi balsami, una cassa in legno contenente 170 monete, alcuni gioielli in oro ed argento, una serie di unguentari, stecche in osso e piastrine di vetro per la cosmesi. In un altro ambiente, su cinque cadaveri risalenti all’eruzione, sono stati trovati monili in oro, consistenti in vari tipi di orecchini, collane, braccialetti e anelli. La Villa B si sviluppa attorno ad un grande peristilio con doppio ordine di colonne di tufo, sul quale si affacciavano le stanze del primo piano. Al pian terreno si svolgeva l’attività lavorativa. I porticati ospitavano carri carichi di anfore di vino e di olio. Una grande quantità di resina e di anfore impilate, pronte all’uso, è stata ritrovata nel peristilio. Una parte di esse è ancora in situ. Nel lato esterno della Villa, figura una serie di magazzini lunghi e stretti che erano adibiti a deposito delle merci. In uno di questi è stata rinvenuta una grande quantità di melograni, stivata nella paglia. Il melograno nell’antica Pompei, come è dimostrato dalle fonti storiche e dagli affreschi, non era soltanto una pianta di buon augurio. Utilizzata per addobbare la casa, come la pigna ed il pungitopo, i suoi chicchi era impiegati regolarmente per l’alimentazione, Il suo succo, inoltre, fungeva anche da medicinale, grazie alle sue proprietà antibatteriche, astringenti ed antiossidanti ed era sovente utilizzato nella colorazione dei tessuti. MARIO CARDONE (Dal settimanale TorreSette del 28 gennaio 2011)