A cura della Redazione
Presentazione fuori dall’ordinario domenica scorsa per “Il mago della pioggia” (ed. Lampi di Stampa, Saronno) appassionata ed appassionante opera prima del sociologo-attore, nonché funambolo di varia umanità, Roberto Nigro. A garanzia della non ordinarietà o se si vuole dell’atipicità della presentazione due elementi su tutti: la sede in cui l’evento ha avuto luogo e i protagonisti coinvolti. Chi segue con attenzione e simpatia il meritorio impegno degli amici del “Caffé Letterario Nuovevoci “ che hanno ospitato la presentazione, ben saprà che ad essi va riconosciuta da lungo tempo, la capacità di proporre attraverso le svariate forme della comunicazione e dell’espressività, opere ed Autori in una atmosfera di coinvolgente leggiadria ed intelligente informalità. Habitat congeniale quest’ultimo per il poliedrico Roberto Nigro, attore di cinema, teatro e televisione, nonché autore di testi teatrali e poesie, ma anche per il talento affabulatorio del professore Felicio Izzo, che si sostanzia di non comuni capacità introspettive ed originalità di analisi. A quest’ultimo l’impegno, assolto con convinta e trascinante partecipazione, di presentare l’opera illustrandone gli aspetti formali, ma soprattutto il ricco universo di affetti, nostalgie e memorie che ne costituiscono l’ordito profondo. “Il mago della pioggia” è solo apparentemente un romanzo giallo, benché possegga di questo genere i caratteri salienti: un delitto privo di motivazioni ed in un contesto apparentemente tranquillo, le indagini di un commissario di polizia che fa ritorno al paesello natio, un insieme di luoghi e personaggi che ruotano intorno alla vicenda, la risoluzione finale del mistero. In realtà l’assassinio di “Cump’Alfonso, lu mago della pioggia”, dal quale l’intera storia prende le mosse, è una sorta di pretesto che apre ad un secondo piano narrativo. Una doppia prospettiva che intreccia al delitto, raccontato attraverso ben congegnati meccanismi ed un uso sapiente di innesti vernacolari, una realtà decisamente autobiografica, intessuta di forte nostalgia per la dimensione mitica e incontaminata del paese di origine e per gli affetti perduti. Ma al commissario Davide Latela, richiamato al paese d’origine dalla voce dello zio e da quella della ricerca di sé, risulterà impossibile immergersi in un passato ancestrale in cui il progresso non ha corrotto nè l’uomo nè ciò che lo circonda. Potrà solo recuperare brandelli di memoria ed il ricordo del calore di carezzezze lontane, perchè anche il desiderato ritorno alla semplicità delle cose e alla verginità delle forme gli è purtroppo negato dall’affannoso scorrere della vita. Unico simbolo rimasto di quella primigenia condizione di felicità ed innocenza, la torre normanna centro fisico e narrativo della vicenda. Alla torre il ruolo non marginale di protagonista silente del racconto; ad essa come ad un imprescrutabile custode, sono affidati inconfessati segreti e inenarrabili dolcezze. “Canone inverso della memoria”, ha definito il preside Izzo questo procedere per sovrapposizione o contiguità di piani , a significare la possibilità che lo scrittore offre a chi si avventura tra le sue pagine, di muoversi a proprio piacimento in una pluralità di ambiti e livelli narrativi: un mondo ricco ed articolato nel quale con intensa levità si parla di vita e morte sfiorando con grazia la sostanza più viva delle cose. BIAGIO SOFFITTO (Dal settimanale TorreSette del 19 novembre 2010)