A cura della Redazione
La bellezza e la stessa ragion d’essere del teatro amatoriale risiedono nella purezza assoluta della passione, nell’amore per la parola recitata, nel convincimento - quasi una fede - che la finzione scenica possa farsi realtà compiuta. Quando in una compagnia filodrammatica questi valori non sono solo enunciazioni teoriche ma costituiscono una realtà palpabile, allora la gioia del recitare contagia, rapisce, incanta e la magica alchimia della messa in scena si compie, così come è successo nelle serate dell’otto e nove maggio presso il “Di Costanzo-Mattiello” di Pompei. A calcare le scene di un teatro così importante che, purtroppo, ancora manca alla nostra città, i filodrammatici della “Piccola Ribalta Oplontina”, compagnia amatoriale torrese di consolidata tradizione. Banco di prova del loro impegno e dei loro immaginabili sacrifici, la celeberrima, “Mpriesteme a mugliereta”, tre atti esilaranti ed intriganti fin dal titolo, scritti da Gaetano Di Maio e Nino Masiello. Un concentrato di divertimento allo stato puro generato da una serie di bugie e conseguenti equivoci che si risolvono, così come è tipico del genere, con il disvelamento finale che determina l’atteso trionfo della verità e dell’amore. Una commedia, questa, che per quanto famosa, non appartiene all’Olimpo della drammaturgia napoletana, quella, tanto per intenderci, di un Eduardo. Ma ciò che può sembrare un apparente limite è diventato invece per gli amici della Piccola Ribalta un grande valore aggiunto. E’ stata infatti proprio questa mancanza di sacralità a tradursi in elemento positivo poiché ha permesso loro una libertà interpretativa diversamente non ammissibile. La storia è stata infatti affrontata con grande maestria sia nella costruzione dello sviluppo narrativo che nella delineazione dei caratteri dei personaggi, proprio perché registicamente non condizionata da grandi timori reverenziali. Luigi Marasca ha così potuto modellare sulla propria fisicità e sulla indiscussa presenza scenica, il personaggio di Camillo Coppolecchia, protagonista della vicenda. Fusione perfettamente riuscita, tanto che la sua gestualità sapiente ed eloquente, ha scandito il ritmo narrativo dei tre atti come una sorta di naturale metronomo. Convincenti e coinvolgenti tutti gli attori i quali, ed è stato bello e commovente al tempo stesso notarlo, si divertivano essi per primi a recitare. L’incasso delle due serate, ma questo lo scriviamo quasi in punta di penna, è andato in beneficenza alla mensa dei poveri della “Parrocchiella”. Ulteriori commenti suonerebbero retorici, un “grazie di cuore”, ne siamo convinti, li riempirà di gioia, così come gli applausi forti e scroscianti che hanno accompagnato l’abbassarsi del sipario. BIAGIO SOFFITTO (dal settimanale TorreSette del 14 maggio 2010)