A cura della Redazione
Lo spettacolo “La mia coscienza è un flusso”, scritto ed interpretato da Francesco Bove, di scena al Caffè Letterario Nuovevoci venerdì 22 maggio alle ore 20. Lo spettacolo potrebbe definirsi una performance-reading, un delirio per attore solo che, sulla scena, rappresenta sia se stesso che la sua coscienza. La scena è essenziale, un tavolino, due sedie (una di queste resterà vuota per tutto il tempo dello spettacolo), un microfono e un leggio. Alcuni oggetti danno calore a questa stanza, una valigia, alcuni libri sparpagliati per terra. In breve, “La mia coscienza è un flusso” è la storia di F. che si trova ad un bivio e vorrebbe scappare. È disgustato dal mondo che lo circonda, dai politici, dai mass-media, dalla famiglia, dagli uomini "insensibili e statici" e le uniche soluzioni sensate sembrano arrivargli solo dalla voce della sua coscienza. Chiuso nella sua stanza, dà sfogo ai suoi impulsi, balla, canta, parla con se stesso, in attesa che qualcosa cambi nella sua vita. Si è costruito un mondo immaginario che, però, inevitabilmente l´ha portato ad isolarsi dal mondo circostante. Un isolamento che lo condurrà dritto alla pazzia, ultimo baluardo di libertà che la nostra società capitalista ancora ci concede. Il compito dell´attore nella performance non è di fornire allo spettatore una storia su cui meditare ma di rappresentare, tramite il suo corpo e la sua voce, situazioni, momenti, sprazzi di vita e lo fa tramite brevi monologhi in cui si rivolge al pubblico che diventa, in questo caso, una sorta di confessore. L´attore sulla scena non è solo una persona ma è anche la sua coscienza, che è la coprotagonista di questo spettacolo alla quale si dà voce attraverso un microfono amplificato. Certamente, un corpo femminile avrebbe potuto benissimo impersonificarla dandole, quindi, vita e conferendole, conseguentemente, un ruolo ma ne “La mia coscienza è un flusso”, come recita il titolo dello spettacolo, si opta per una scelta diversa. La coscienza viene vista come un qualcosa di liquido (ma non dal punto di vista materiale), che fuoriesce, che scorre via, raggiungendo anche luoghi impensabili. Leggendo, l´attore sulla scena dà voce alla coscienza ma, allo stesso tempo, si abbandona, non è più se stesso, è un altro da sé, una “macchina attoriale”, se si vuole riprendere la bellissima e suggestiva teoria di Carmelo Bene. “La mia coscienza è un flusso”, pur apparendo come un normale flusso di coscienza, va oltre questa definizione e, anzi, prende in prestito tutti i mezzi messi a disposizione dalla video-arte, dalla musica e dal teatro per poter rappresentare uno stato d´animo, un non-luogo dell´anima, oscuro ma affascinante. È un progetto destinato a crescere e ad arricchirsi serata dopo serata, rispettando, quindi, anche le promesse del titolo eloquente.