A cura della Redazione
Nella situazione attuale di Torre Annunziata è difficile immaginare luoghi di ritrovo, ed è altrettanto impensabile trovare un “paladino” della salvezza dei giovani torresi. Eppure, aggirandoci nei pressi di via Parini incontriamo “La Boxe Vesuviana”, palestra fondata da colui che da cinquanta anni si “batte” per i suoi concittadini adolescenti: Lucio Zurlo. Abbiamo voluto parlargli da vicino per capire come e perché ha scelto di insegnare questo sport in una zona degradata della nostra città. Oltre alle tecniche specifiche di questo sport, qual è il suo metodo si insegnamento? «Noi cerchiamo di diffondere nei giovani il concetto di sacrificio per il raggiungimento di un obiettivo. Proviamo a far capire loro che esistono tante strade da percorrere senza, necessariamente, scegliere quella sbagliata. Un cammino da intraprendere è proprio lo sport, in questo caso la boxe». Cosa la spinge a continuare dopo cinquanta anni? «Per me la boxe è una malattia. Cercare di far emergere ragazzi, aiutarli a tirar fuori quello che è il loro talento, sfruttando anche le loro caratteristiche fisiche, è una grande soddisfazione. Purtroppo, però, sono pochi i torresi che frequentano la mia palestra; la maggior parte sono ragazzi di paesi limitrofi o sportivi di tutta Italia che scelgono di allenarsi qui con i nostri campioni». Quanti campioni ha portato al successo? «Tanti: Biagio Zurlo (il figlio, ndr), Bergamasco, Panciullo, Aurino, Pinto, Buonerba, Mascolo, Langella, Nespro. Sono stati campioni d’Italia, ed alcuni hanno partecipato alle Olimpiadi di Atlanta e di Sidney, alle Nazionali di Atene e Pechino». Li ricorda tutti con affetto, ma cosa prova quando qualche suo protetto perde gli stimoli per continuare? «Sinceramente non mi è mai capitato che qualcuno abbandonasse strada facendo; tutti si sono realizzati non solo come sportivi ma anche professionalmente. In realtà io, insieme ai maestri Zurlo e Pagano, accompagnamo passo passo i nostri ragazzi, li seguiamo motivandoli, senza però farli strafare perché li dobbiamo proteggere, farli crescere, sportivamente parlando». Qual è lo spirito agonistico della boxe? « Sembra uno sport violento, visto che è fatto di pugni, ma c’è uno spirito amichevole, i combattenti si scambiano tecniche sul ring. Quando scendono, poi, sono amici più di prima». Quali sono state le sue difficoltà in questi anni di carriera? «Sicuramente di natura economica. Tutto è finanziato da noi, anche le gare. Dobbiamo sempre spostarci in altri paesi per gareggiare, perché l’amministrazione comunale è stata sempre assente. Devo dire però che quest’anno il sindaco Giosuè Starita ha assistito all’incontro di Nespro a Pompei, premiando il neo campione. Per noi è stato un vero piacere; inoltre Starita ci ha promesso un adeguato appoggio per finanziare questo sport in ascesa, visto che il Coni non ha soldi per finanziare le competizioni. Ma nonostante questo non molliamo, continueremo per il bene dei ragazzi». Intanto tra una domanda e l’altra arriva anche il maestro Raffaele Pagano, che non solo segue i ragazzi nella preparazione ma anche nel gioco della vita: «Per noi sono dei figli, siamo una grande famiglia. Qui si parla di tutto, dallo sport ai problemi quotidiani. I giovani devono aver fiducia in noi ma soprattutto in loro stessi, essere sì campioni della boxe ma in primo luogo della vita, ed è questa la base del nostro insegnamento e il segreto del successo». Da quanto detto è deducibile che è possibile salvare un giovane dai pericoli della strada. Come? Semplicemente prendendolo a pugni con un guantone! ENZA PERNA