A cura della Redazione
E’ ormai necessario ed urgente un intervento della massima carica dello Stato che punti ad evitare ulteriori perdite di tempo nei processi (civile e penale) Deiulemar. La convinzione della gente è che la magistratura italiana debba svolgere i processi nei tempi necessari, per non pregiudicare la tutela degli interessi in gioco che altrimenti sarebbero in ogni caso penalizzati. Solo Giorgio Napolitano può impedire che ulteriori rinvii e cambi di registro insabbino i procedimenti giudiziari in cui sono coinvolti i vertici della Compagnia di Navigazione di Torre del Greco. Al momento pendono presso il Tribunale di Torre Annunziata (quello civile) mentre il processo penale è stato già dirottato (con motivazione risibile) dal Tribunale torrese a quello capitolino. Il Presidente della Repubblica ha il carisma, l’esperienza ed il titolo giuridico per indurre (nel pieno rispetto delle autonomie) la magistratura oplontina e quella capitolina a non indugiare oltre il necessario. Se scappano i buoi, prima di essere acchiappati per le corna, e dal carro scompare la paglia (vale a dire le sostanze economiche delle tre famiglie di armatori torresi) le inchieste sul crac Deiulemar perdono la loro efficacia sostanziale. Si riducono a riti burocratici dove le dichiarazioni di principio non servono a ripianare il danno economico causato al territorio vesuviano. Un procedimento fallimentare lungo (insieme alle connesse azioni di recupero) vanificherebbe le residue speranze di tredicimila risparmiatori che hanno investito in buona fede 720 milioni di euro nei bond cartastraccia della società armatoriale corallina. E’ inutile entrare nel merito delle astuzie forensi, impagabili nelle procedure dilatorie, che hanno consentito l’incrocio tra una ricusazione discutibile ed una collaterale istanza di astensione di due collegi giudicanti. Il risultato è che il giudizio civile di recupero del credito ha fatto il passo del gambero, pregiudicando i brillanti risultati acquisiti nella sua fase iniziale: la dichiarazione di fallimento (procedura che ha rallentato il suo corso) e la contestazione della società di fatto (a delinquere) tra gli attori di due generazioni delle famiglie Della Gatta, Lembo e Uliano, che ha comportato il sequestro dei loro beni personali. Giusta, pertanto, la reazione indignata di alcuni componenti del comitato dei creditori all’istanza di astensione dal verdetto finale, da parte del collegio giudicante, sull’esistenza di una società di fatto tra gli armatori. Qualche avvocato di parte civile ha fatto notare il lasso di tempo intercorso inutilmente tra contestazione della società di fatto e manifestazione della volontà d’astensione (quando avrebbe dovuto già essere emessa la sentenza) a seguito, peraltro, di una ricusazione pretestuosa ed infondata. Si cerca in questo modo di blandire il ritmo che la piazza aveva in un primo momento registrato nell’impegno dei magistrati. Bisogna ritornare alla motivazione iniziale, restituendo impulso ai processi. Al popolo degli obbligazionisti frodati rimane da giocare l’ultima carta: far appello all’intervento del massimo rappresentante del Paese (Napolitano) che ha un nome ed un cognome che sono una garanzia. MARIO CARDONE (twitter: @mariocardone2)