A cura della Redazione

Pubblichiamo una nota del prof. Salvatore Prisco, docente di Istituzione di diritto pubblico presso l'Università Federico II di Napoli, in merito alla polemica sorta circa la mancata autorizzazione da parte del presidente del consiglio comunale Rocco Manzo alla diretta streaming della seduta di consiglio comunale del 31 luglio scorso. In sostanza Manzo non ha autorizzato la diretta in quanto il Comune è privo di un regolamento ad hoc che disciplina tale materia. Ma non ha escluso, in un futuro prossimo, che tale autorizzazione possa essere accordata:

«È in corso una polemica sulla mancata trasmissione in streaming della seduta di insediamento del Consiglio Comunale di Torre Annunziata, richiesta da un esponente locale del Movimento Cinque Stelle, peraltro diviso in città  - come ho appreso nella circostanza -  in due tronconi che tra loro non hanno rapporti amichevoli.

La questione sembra di scarsa rilevanza concreta, ma è meglio affrontarla subito, perché i sassolini – precipitando a valle – diventano valanghe.

Il Movimento, come è noto, invoca trasparenza delle decisioni politiche e abolizione del divieto di mandato imperativo, che le Costituzioni (non solo quella nostra) stabiliscono espressamente solo per le assemblee parlamentari, ma che è un principio applicato ad ogni assemblea politico-amministrativa eletta, a tutti i livelli territoriali.

Facile sospettare che dietro questa richiesta apparentemente “innocente” e giustificata con l’intento lodevole di allargare la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, magari sull’esempio della trasmissione della messa cattolica in televisione, a beneficio dei fedeli malati, si nasconda in realtà altro: dopo la diffusione televisiva della seduta, basterà qualunque accenno di voto condiviso, magari per motivi tecnici, o di polemica non aspra, ma cortese (seppure presente), tra maggioranza e opposizione  a fare gridare all’ “inciucio”; si potrebbe anche finire per chiedere in un secondo momento ai telespettatori di votare come se fossero loro consiglieri comunali, dotandosi di qualche marchingegno elettronico (al Festival di Sanremo non si usa da tempo il televoto, ad esempio?) e del resto già oggi si fanno da parte grillina consultazioni online di dubbia trasparenza (non c’è alcun controllo indipendente su come si svolgano e comunque non sono davvero definitive, se il risultato contraddice la volontà del capo: si veda quanto è accaduto di recente per le elezioni comunali di Genova).

Tutto è buono, insomma, pur di delegittimare le assemblee elettive e la democrazia rappresentativa, secondo un costume diffuso e in Italia storicamente tipico in passato del fascismo e poi del qualunquismo di Guglielmo Giannini

Ecco perché chi scrive è tendenzialmente sfavorevole a tale trasmissione in diretta, in linea di principio, giacché facendola si tende a sovrapporre la democrazia diretta e “rappresentata” (il “teatrino”) a quella “rappresentativa” (che è altro) e a confondere due sensi della parola “pubblico”: quello testimone della regolarità dei lavori (già oggi presente in aula durante gli stessi, se ritiene, nei limiti della capienza dei posti, nonché in silenzio) e quello che guarda da casa e in rapporto al quale la percezione della presenza davanti a uno schermo domestico da parte dei consiglieri distorce la funzione della seduta in “riunione pubblicitaria”, in “recita”.

E comunque non sono mai favorevole per i lavori in Commissione ed eccezionalmente favorevole, al più, solo per alcune sedute consiliari, in quanto si tratti di riunioni cerimoniali (conferimenti di cittadinanza onoraria, ricordi di cittadini illustri defunti, premi a cittadini viventi che si sono distinti in qualcosa, commemorazioni di eventi). Questo - in assenza di apposita disposizione regolamentare - è già oggi permesso al Presidente dell’organo di disporre caso per caso e valutate le circostanze concrete, secondo la chiara direttiva del Ministero dell’Interno e la giurisprudenza amministrativa  in proposito».

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