Torre Annunziata piange le otto vittime del crollo del palazzo di Rampa Nunziante. Un dolore composto, dignitoso, silente. Inaspettato per un popolo esuberante nelle sue esternazioni. Una riscoperta anche per me che vivo la città da cittadino ma anche da amministratore.

Ed ora che sono agli sgoccioli del mio mandato politico-istituzionale, mi spoglio della carica e riassumo la veste di giornalista.

Lo faccio con il dolore nel cuore perché mai nella mia esperienza di vita avevo assistito ad una tragedia così immane, così dolorosa, che mi coinvolge in prima persona. Conoscevo personalmente Giacomo Cuccurullo. Nutrivo un grande affetto per Pasquale Guida, la moglie Anna, e i figli Francesca e Salvatore. Conoscevo finanche la signora Pina Aprea, che giornaliermente incontravo sull’uscio del portone di casa mentre conversava con una mia coinquilina. Tre famiglie distrutte da un comune e tragico destino.

Di Giacomo serberò un ricordo indelebile. La sua estrosità professionale rimarrà per sempre sotto i miei occhi. Ogni angolo della mia casa porta la sua firma. L’ho conosciuto circa 22 anni fa, io consigliere comunale, lui funzionario del comune di Torre Annunziata. Da allora non ci siamo più persi. E come avrei potuto. Era un uomo dalle mille sfaccettature: lunatico, estroso, ideatore, sognatore, scrupoloso, rompiscatole, coinvolgente. Un puzzle da mille colori.

Pasquale (44 anni), Anna (38), Francesca (14) e Salvatore (7) erano il prototipo della famiglia ideale. Con Anna ero legato anche da rapporti di parentela, figlia di una mia cugina.

Pasquale era un giovane di altri tempi. Sempre rispettoso, al punto che in tanti anni non sono mai riuscito a farmi dare del “tu”. Instancabile lavoratore, non si piegava davanti a nessuna difficoltà. Neanche quando visse il dramma della perdita del lavoro. Caparbio, ne trovò un altro. E non ne fece un problema se per mesi era costretto a stare lontano dalla sua famiglia e dai suoi adorati figli. Non si è dato per vinto neppure quando ha subito l’onta della cassa integrazione. Si dava sempre da fare per non far mancare mai nulla ai suoi cari. “Gagliardi – mi diceva – sto costruendo il futuro della mia famiglia, che volete che sia qualche piccolo sacrificio”. Già, non mi chiamava mai per nome, un vezzo che si è portato appresso fino all’ultimo giorno della sua vita. 

Anna era bella e dolcissima. Adorava il marito come lui adorava lei. Una coppia perfetta.

Di Francesca mi dilungherò un po’.  Era nell’età adolescenziale. Bellissima, sportiva, vanitosa quanto basta, le mancava solo la corona per essere una principessa. Quest’anno aveva preso la licenza media all’Alfieri con il massimo dei voti. Si era iscritta al Liceo scientifico sportivo. Lunedì 3 luglio aveva sostenuto le prove per l’ammissione. Era preoccupata. «Francè – le dicevo – ma come fa un’atleta così brava come te a non superale? E poi con la media dei voti che ti ritrovi…». Alla fine è stata ammessa, ma non lo saprà mai. Non ha avuto il tempo di gioire.

Francesca praticava la disciplina del karate insieme al fratellino Salvatore. Allenata dal maestro Matteo di Martino, era cintura marrone ottenendo ottimi risultati in vari tornei regionali e nazionali. «Sai Antonio qual è il mio sogno? - mi diceva -. Diventare atleta delle Fiamme Oro. Così potrò aiutare economicamente la mia famiglia».

Di Salvatore dirò solo che era tifosissimo dell’Inter, come il papà, e che il suo campione preferito era Eto’o. Spero di fargli un regalo. Ho contattato la società nerazzurra e le ho chiesto di esaudire un suo desiderio: la maglietta del suo beniamino. Stavo scrivendo questo articolo quando è arrivata la risposta. Gliela spediranno, ma non faranno in tempo per il giorno dei funerali. Hanno inviato, però, una bellissima lettera ai familiari, di cui riporto la parte finale: «Alzando gli occhi al cielo, tra le stelle, vedrete i vostri cari che continueranno ad esservi accanto. Angeli a cui affidarsi sempre, soprattutto nei momenti difficili. Nel dolore che state vivendo, speriamo riusciate a sentire un forte abbraccio da tutta la famiglia dell’Inter».

Vorrei scrivere ancora, gridare il mio e il dolore di tutti i torresi per questa fine assurda. Ma la commozione mi assale. Allora mi fermo qui.

Mi scuserete se ho approfittato del giornale per esternare i miei sentimenti. Ma glielo dovevo. Lo dovevo a Giacomo, a Edy, a Marco, a Pasquale, ad Anna, a Francesca, a Salvatore, a Pina che, all’alba di quel maledetto venerdì 7 luglio, hanno perso la vita per colpa di un destino tanto ingiusto quanto crudele.

(Ieri sera, presso il Santuario dello Spirito Santo, si è svolta una veglia funebre per i quattro scomparsi della famiglia Guida). 

(Nella foto, Francesca con la mamma Anna)

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