A cura della Redazione
La sua è una di quelle idee che piacciono... a posteriori. Quante volte, gustando una fumante pizza, ne abbiamo apprezzato le ottime qualità degli ingredienti? Quante volte, dopo che il nostro palato ha gradito, abbiamo dovuto fare i conti con una digestione pesante, con quella insopprimibile arsura che ci ha costretti, magari nel cuore della notte, ad alzarci per placarla? E’ qui, in questo preciso momento, che interviene Salvatore Kosta, torrese doc, dottore in Scienze e tecnologie alimentari. E’ lui l’ideatore di un impasto che, nulla perdendo in qualità, ci regala una leggerezza ed una digeribilità che le comuni pizze, anche quelle dei più rinomati professionisti, non avranno mai. Dov’è il suo segreto? «Tutto nasce dalla mia passione per i lievitati ed in particolare per il lievito madre. Navigando sulla rete, ho notato che la quasi generalità degli interessati, pubblicando le proprie ricette, relativamente ai pani utilizzavano il lievito madre. Ho pensato di poter essere in grado di realizzare un impasto per pizza e ho iniziato a produrre da me tale lievito. La grande amicizia che mi lega a Ciro Salvo, che all’epoca lavorava al Massè, mi ha permesso di poter provare l’impasto in un forno a legna ed il risultato non poteva essere più sorprendente, talchè lo stesso Ciro si è complimentato. Uno sprone ulteriore a tentare di diffondere la mia idea. Ed una buona opportunità me la offrirono gli organizzatori di un corso per pizzaioli a Pozzuoli dove mi proposi come docente con ottimi risultati. Ho ripetuto l’esperimento a Santa Maria Capua Vetere e poi a San Giorgio a Cremano presso la pizzeria Galante-Tutino, persone eccezionali che ancora mi ringraziano per avergli fatto scoprire un mondo, a loro, pizzaioli da generazioni, del tutto nuovo. Al Villa Giovanna di Francesco Formisano, ad Ottaviano, dove attualmente lavoro, il primo, vero “ingaggio”». Cos’è il lievito madre? «Il lievito madre nasce dall’insieme di acqua e farina al cui interno sono già presenti quelli che diventeranno i lieviti e altri microrganismi che fermentano la farina stessa consumando gli zuccheri in essa contenuti. L’obiettivo è quello di catturare batteri e lieviti normalmente presenti in quest’ultima. A proposito di farina, non è preferibile quella 00, troppo raffinata, bensì quella di tipo 1 dov’è presente la crusca sulla quale si depositano i batteri. Unendo l’acqua alla farina, dopo sette, dieci giorni avremo un ammasso che cresce, vuol dire che qualcosa sta moltiplicandosi. Il lievito madre è pronto per essere utilizzato come fermento in qualsiasi prodotto della panificazione, pizza compresa. Certo, a questo punto la difficoltà sta nel “gestirlo”, vale a dire che bisogna avere la pazienza, quasi tutti i giorni, di “rinfrescarlo” perché il lievito madre è vivo, al suo interno ci sono microrganismi che vogliono essere nutriti». Beh, non sembra una cosa difficilissima da attuare. Perché allora i professionisti della pizza non utilizzano tale tecnica? «A mio modo di vedere, molti non hanno le giuste competenze. In fondo, la maggior parte dei pizzaioli nascono tali solo per un passaggio di esperienze tra generazioni; non hanno la conoscenza delle potenzialità né del lievito madre né di altre tecniche di impasto. Sostanzialmente, sono fermi al panetto che si lavora in un certo modo e basta. Si ritiene, in maniera infondata, che si avrebbe difficoltà a gestire il lievito madre. Da più parti mi si è posta la domanda sul come si fa a proporre 300-500 pizze utilizzando questo componente. La risposta è semplice: esattamente come si gestisce il lievito di birra comunemente utilizzato. E’ solo una questione di organizzazione». Vogliamo chiarire meglio il perché della ottima digeribilità di impasti realizzati con il lievito madre? «La farina contiene essenzialmente proteine e amido. Le proteine sono quelle che creano la maglia glutinica, in parole povere quelle che fanno crescere la pizza durante la cottura e quelle che devono essere “demolite” dal nostro apparato digerente. Se si dà la possibilità agli enzimi della farina di smaltire questa massa, avremo un prodotto più digeribile. Questo avviene in tutti i normali lievitati ma in particolare in quegli impasti che contengono il lievito madre. Quindi una pizza preparata con il lievito madre, con ph (misuratore di acidità) più basso, avrà certamente una maggiore capacità di essere smaltito rispetto allo stesso prodotto preparato con il lievito di birra. Ovviamente, al lievito madre occorre dare il tempo di maturazione, cioè il tempo necessario perché le proteasi, enzimi della farina, predigeriscano la maglia glutinica. Normalmente, perché un prodotto sia digeribile, occorre che siano trascorse almeno 24 ore dall’impasto. In genere, invece, gli impasti vengono lavorati la mattina per poter essere pronti dopo appena dodici ore, troppo poco perché gli enzimi possano far bene il proprio lavoro». Lei allora come ha coniugato la digeribilità con la lunga lavorazione? «Semplicemente utilizzando il frigorifero. Mi spiego: tutto sta nell’esigenza che le due attività dell’impasto, fermentazione e maturazione, giungano a termine nello stesso momento. L’impasto ha una nascita, una vita e una morte. La morte si determina quando la maglia glutinica sotto l’effetto della proteasi non resiste all’attività dei gas che spingono e quindi “crolla”, si “ammoscia” per dirla in napoletano. Evidentemente, più si allungano i tempi più questo rischio cresce. Questa è stata la sfida con cui mi sono misurato: far arrivare l’impasto con tutte le sue caratteristiche di consistenza a 48 ore; cioè disporre di un panetto che può essere tranquillamente lavorato, steso e infornato, per presentare al piatto una pizza ben gonfia, con cornicione alto e soprattutto leggera. A cosa mi serve il frigo? Ritengo che pur partendo dalla tradizione classica napoletana, si debba rinverdirla. Il frigo me ne offre l’opportunità; mi rallenta uno dei due processi, la fermentazione. Quando mettiamo insieme acqua, farina e lievito, quest’ultimo inizia a cibarsi di zuccheri liberando gas, CO2, che spinge sulle pareti della maglia glutinica che, indebolita dalle proteasi, si lacera fino a rendere il panetto inutilizzabile. L’obiettivo è tenere a bada tale fermentazione, come? Con il frigo che la rallenta a favore della maturazione che procede di per sé più lentamente rispetto alla fermentazione». Insomma lievito madre e frigo, un binomio impensabile per gli addetti ai lavori ma che sta aprendo una breccia in questo inossidabile mondo se è vero com’è vero che salvatore Kosta ha già ricevuto altre importanti proposte. Il suo sogno nel cassetto però è un altro, più minimalista se vogliamo ma encomiabile se lo guardiamo da un punto di vista tutto nostrano: “Gestire una pizzeria di Torre Annunziata e far convergere sulla nostra città tutti i torresi e soprattutto non torresi che si rivolgono altrove”. E che dire dell’ulteriore novità che sta stravolgendo i normali canoni cliente-locale sensibilizzando il primo ad una buona e sana alimentazione? Salvatore Kosta ha l’abitudine di avvicinarsi ai tavoli per spiegare al consumatore cosa sta mangiando: “Una maniera per fidelizzare l’avventore e, perché no, farlo sentire coccolato”. Buona pizza a tutti. MATTEO POTENZIERI