A cura della Redazione
Ancora note dolenti investono il sito archeologico di Torre Annunziata, e nello specifico la Villa “A” meglio conosciuta come di Poppea Sabina. Questa volta a suscitare polemiche è stata una cena privata organizzata da una società milanese, della quale la Soprintendenza archeologica di Pompei non ha voluto rivelare il nome, tra le vestigia millenarie dell’edificio romano. All’evento hanno partecipato ricchissimi invitati provenienti da ogni parte del globo. La decisione della Soprintendenza, che amministra il sito, di concedere ad attività private la villa di Poppea, per la cifra di 5.000 euro che andrà versata nelle casse dell’Ente e riutilizzata poi per la gestione dei siti archeologici dell’intera area vesuviana, come si legge in una nota della Soprintendenza, non è affatto piaciuta ai membri delle associazioni culturali torresi, appoggiati anche dalle “Mammae Vulcaniche”, e dei movimenti politici locali (SEL e M5S). Che, dopo essere stati attivati tramite il solito tam-tam dei social network, si sono dati appuntamento con tanto di striscioni contestatori in Via Sepolcri, dinanzi ai cancelli del sito archeologico. “Il nostro sito archeologico è stato fin troppo mortificato, come per altro la città in cui esso sorge”, attacca il presidente della Pro Loco “Marina del Sole”, Ciro Maresca, anch’egli presente alla dimostrazione di dissenso. “Non possiamo più tollerare politiche e scelte così scellerate - ha dichiarato -. Bisogna fermare ad ogni costo questo scempio a danno del nostro territorio già troppo demoralizzato!”. I membri delle associazioni che hanno sollevato la protesta si dichiarano a dir poco contrariati da questo genere di attività alla quale viene prestato un sito di così alto valore storico, per lo più Patrimonio dell’Umanità. Per le associazioni culturali torresi, “è un indecenza che non può avere seguito. Oplontis va difesa con ogni mezzo lecito. La villa non è il giocattolo della Soprintendenza la quale ne dispone l’utilizzo come meglio crede. Qui ci sono migliaia di cittadini che tengono a questo bene in quanto è parte e simbolo di appartenenza di un’intera comunità, ed è inaudito che venga concessa a privati per far ostentare le loro megalomanie. Il fondo è stato toccato. “PECUNIA NON OLET” (i soldi non puzzano) ma in questo caso è meglio affermare “PECUNIA OLET” (i soldi puzzano) in quanto non si può affittare un bene archeologico di questa portata alla stregua di un ristorante”. A sposare la causa, e a far sentire la loro vicinanza ai manifestanti, sono intervenuti anche i commercianti di via Sepolcri ed uno sparuto numero di cittadini, stanchi di questa situazione poco proficua per un territorio che ha bisogno di indotti seri e non di queste rappresentazioni che non portano benefici a nessuno se non pochi spiccioli alle sempre più affamate casse della Soprintendenza di Pompei. Per ottemperare a tali necessità, erano attese le aperture serali indette dal MiBact, le quali, come accaduto nelle scorse edizioni, potevano apportare introiti anche nelle casse delle attività locali. Ma ciò non è accaduto. Molto più cauta invece è la posizione del sindaco di Torre Annunziata, Giosuè Starita, che tiene a far presente che tali attività, purtroppo, sono regolate da un Decreto legislativo: si tratta della legge Ronchey del 1993, poi abrogata e sostituita dal Decreto legislativo n 42 del 2004, consociuto come Codice dei beni culturali e del paesaggio. “Viste le circostanze - dice il primo cittadino - ammesse dallo Stato italiano, possiamo solamente far leva sugli organi amministratori affinché si tenga conto delle delicate particolarità del sito. Magari - continua Starita - tra gli ospiti che interverranno agli eventi futuri, se ce ne saranno, si paleserà qualche benefattore che possa dare un giusto contributo alle opere di restauro della Villa e in generale di Oplontis, cosa che per altro è avvenuta nella vicina Ercolano”. Il sindaco, oltre all’etica della questione, ha voluto precisare l’importanza del lavoro svolto fino ad oggi da parte del suo staff in ambito UNESCO, il cui obiettivo principale è una valorizzazione del sito e di tutto il contesto circostante (cosiddetta buffer zone). Dissensi a parte, che vanno ascoltati e ai quali bisogna dare giustamente delle risposte purché non siano mosse da chiari ideali politicizzati, come dal sindaco stesso dichiarato, si continuerà a lavorare per il bene del sito archeologico seguendo i dettami delle nuove normative UNESCO, affinché si possa dare risalto ad un valore aggiunto al tessuto cittadino di così grande importanza. In relazione ai risultati conseguiti fino ad oggi, ha ribadito il sindaco, tutti gli atti prodotti sono di pubblica consultazione. Lui stesso si è reso disponibile ad illustrare a chiunque avesse dei dubbi e vorrebbe delle delucidazioni quanto è stato fatto e quanto è in programma di studio. Secca è stata la risposta ai giornali nazionali del Soprintendente di Pompei, prof. Massimo Osanna, che ha dichiarato di aver agito secondo il codice dei beni culturali, il quale concede la possibilità, dietro pagamento di un canone, di fittare spazi interni alle aree archeologiche di competenza della Soprintendenza per attività compatibili con il decoro del monumento. Nel caso specifico della Villa di Poppea, l’area è stata concessa in uso, in forma privata e temporanea dietro parere positivo del direttore del sito di Oplontis, Lorenzo Fergola, e unicamente limitata al giardino. Garantendo, come di norma, l’adeguata vigilanza e la tutela del bene (fonte “Il Mattino” - Maurizio Sannino, per gentile concessione). E oltre alle scelte di gestione non condivise dagli attivisti locali, si sottolineano le gravi carenze strutturali che il sito presenta. La Villa di Poppea, come venne illustrato qualche mese fa durante una conferenza organizzata dall’Archeoclub di Torre Annunziata, necessita di un’accurata opera di restauro e recupero degli affreschi che in alcuni punti risultano pericolosamente sbiaditi, presentando addirittura dei distacchi, delle pavimentazioni musive in più punti destabilizzate e mancanti dei tasselli che le compongono. Da non sottovalutare, poi, è la carenza strutturale delle opere architettoniche che in alcuni punti non permettono l’agibilità degli ambienti e in altri ancora risultano sostenute da pesanti installazioni di sostegno. Assopitesi le azioni di contestazione, che non miravano affatto a fermare la festa all’interno dell’edificio, appena gli intervenuti hanno raggiunto il luogo della cerimonia la cena si è svolta come era previsto tra gli organizzatori e la Soprintendenza di Pompei. La “serata di gala” ha interessato una buona parte dell’edificio. Gli ospiti dell’azienda milanese, accomodatisi nel grande viridarium interno contornato dal magnifico peristilio formato da bellissime colonne laterizie decorate di stucco bianco, hanno potuto godere della bellissima atmosfera che al tempo solo gli antichi romani, abitatori del luogo, si erano potuti concedere. Allietati gli occhi dalle suggestive illuminazioni colorate installate lungo le pareti affrescate dei corridoi dell’edificio, e da un grosso pallone luminoso, ancorato chissà dove, che illuminava a giorno il viridarium. Soddisfatti i palati dalle pietanze provenienti dalla caratteristica friggitoria allestita a bordo piscina e da un catering fornito da una rinomata azienda di ristorazione pompeiana, non si è fatto mancare agli astanti un’elegante interpretazione lirica durante la quale si sono riproposte opere del più suggestivo repertorio italiano del genere. E al caso non poteva mancare il supporto del mondo di internet che, appresa la notizia, ha espresso come meglio ha pensato il proprio dissenso nei confronti di quanto è avvenuto. A supporto degli attivisti oplontini sono intervenuti i membri dell’associazione spagnola di rievocazioni storiche “Gruppo BonaDea”, che ha avviato una campagna di sensibilizzazione denominata “PECVNIA OLET - SAVE OPLONTIS” (I soldi puzzano - Salviamo Oplontis) per una gestione trasparente del siti dichiarati “Patrimonio dell’Umanità”. VINCENZO MARASCO