A cura della Redazione
I primi abitanti di Torre Annunziata erano dediti alla pesca e al lavoro nei campi. Allorquando il conte di Sarno ebbe l’idea, nel 1597, di fondare sul territorio torrese i molini, all’economia agricola e marittima del feudo andava progressivamente aggiungendosi anche quella della cosiddetta “arte bianca”. I due molini a sistema idraulico voluti dal conte furono costruiti alla sommità dell’odierno corso Garibaldi (il cosiddetto vico di San Gennaro, in località chiamata “cupa”), all’altezza del convento di San Francesco, attuale sede del comando della Guardia di Finanza, e all’estremo lembo della costa, dove si trova l’ex cinema-teatro “Metropolitan”. Per azionare le macine dei molini, fu utilizzato il fiume Sarno, le cui acque venivano convogliate, per mezzo di un canale lungo circa 22 chilometri, dalla località Santa Maria La Foce e, attraversando il territorio di Pompei, giungevano a Torre Annunziata. Con questa opera idraulica, a quei tempi molto costosa, il Casale di Torre fu approvvigionato, per la prima volta, di acqua. Alla fine del XVI secolo, lungo il fiume Sarno e nella stessa contea, già operavano dei molini, che fornivano di farina il contado, ma soprattutto la capitale, Napoli. Il progetto del conte era finalizzato a ridurre i costi del trasporto da effettuare possibilmente per via mare, anziché per via terra. Infatti, le strade erano tutte dissestate e, per giunta, presidiate da malfattori e da bande di soldati disertori che razziavano il prezioso carico. E, ancora, per battere la concorrenza, il conte stipulò con gli eletti dei sedili di Napoli il prezzo di molitura di due grane in meno di quello pagato ai mugnai di Gragnano e di Scafati. Intanto, proprio in virtù dei primi molini, le donne torresi cominciavano a lavorare in casa la farina dal cui impasto traevano, con le loro abili mani, formati speciali di pasta come fusilli, sottili fili arrotolati in forma serpentina intorno ad un filo di ferro; gnocchi (scazzuoppoli), pezzetti di pasta che si ricavavano con abili movimenti delle dita indice e medio; orecchiette (cocciolelle) ottenute mediante il movimento del pollice e, infine, le fettuccine (tagliatelle). La pasta lavorata veniva sciorinata su assi di legno ed esposta al sole per l’essiccazione. Un’antica tradizione alla quale, tuttora, alcune donne del popolo si dedicano per servire quelle famiglie che, ancora, preferiscono mangiare un piatto di genuina pasta fresca. Questa attività praticata per uso domestico dalle nostre ave, diede inizio, verosimilmente, alla cosiddetta “arte bianca”, che tanta notorietà avrebbe procurato alla nostra città nel mondo. Per meglio abburattare la farina, entrarono in funzione i primi rozzi macchinari costruiti in legno e ferro, i cosiddetti ‘ngegni , azionati dalla forza dell’uomo. A Torre i primi ‘ngegni vennero impiantati all’interno dei fondachi (munazeri), dove si vendeva anche la pasta e gli sfarinati. Il prosciugamento della pasta, proprio in virtù del clima dolce e mite della città, avveniva naturalmente. Infatti, le paste lunghe stese su canne sostenute da cavalletti di legno, venivano allineate sui marciapiedi, mentre quelle corte si spandevano su teloni o raccolte in grandi ceste messe ad asciugare sui terrazzi dei pastifici. Con il progresso tecnologico della meccanica, gli ‘ngegni vennero mano a mano sostituiti da macchine a cilindro tecnicamente più avanzate. Tra i primi molini con pastificio a cilindro a vapore si ricordano quelli di Domenico Orsini, sorto nel 1881 in via Oplonti; di Antonio Dati, nato nel 1882 in Largo Fabbrica d’Armi e, nel 1884, per iniziativa di Scafa & compagni, fu realizzato all’imbocco di via Cuparella un grande complesso industriale. Intanto, altri opifici nascevano, tra piccoli e grandi, un po’ su tutto il territorio della città. Tutti questi stabilimenti producevano annualmente seicento-settecentomila quintali di paste lunghe e corte, di cui la metà veniva esportata all’estero. Le prime crisi si verificarono soprattutto per eventi bellici, quali la prima e la seconda guerra mondiale, che interruppero il flusso delle esportazioni verso gli Stati Uniti, i maggiori acquirenti mondiali della pasta, e per l’interruzione della fornitura di grano dal Mar Nero, a causa della rivoluzione bolscevica nel 1917. MARIO SCAFA