A cura della Redazione
Sfiorata la tragedia a Torre Annunziata. Erano le 3 del mattino di lunedì 22 febbraio quando un fragore ha scosso il sonno dei cittadini del Quadrilatero delle Carceri. In via Aurora un palazzo è venuto giù accartocciandosi su se stesso. La forte pioggia e il vento dei giorni precedenti avevano minato una struttura già duramente colpita dal sisma dell’80. Per fortuna l’edificio era disabitato e non ci sono state né vittime né feriti, data anche l’ora in cui è avvenuto il crollo. Gli unici danni li hanno subiti alcune auto parcheggiate nei pressi, colpite da pietre e calcinacci. Già il giorno seguente le ruspe erano al lavoro per completare l’opera di abbattimento, non solo dell’edificio venuto giù, ma anche di altri pericolanti. Infatti, l’amministrazione comunale aveva già programmato alcuni abbattimenti per eliminare il pericolo di crolli nel quartiere più degradato della città, che ancora porta le vistose ferite del terremoto del novembre del 1980. Un quartiere dove ultimamente l’amministrazione comunale era intervenuta per pavimentare le stradine e installare nuovi punti luce. Un flebile segnale delle istituzioni nei confronti degli abitanti del luogo, a dimostrazione che il quartiere non era stato completamente dimenticato. Questi gli avvenimenti dei giorni scorsi. Ma da una disgrazia (fortunatamente) mancata è venuta alla luce una situazione incresciosa, allucinante, impensabile perfino per un paese del terzo mondo. In un edificio abbandonato, in via Agricoltori, sono state trovate diroccate una cinquantina di persone, tra uomini, donne e bambini. Una piccola comunità di zingari rumeni trasmigrati da Napoli a Torre Annunziata chissà da quando. Tutti ammassati in piccoli alloggi di fortuna, privi di luce, acqua e servizi igienici. Ma quello che è più grave, in un palazzo ad alto rischio di crollo. Già oltrepassando la soglia del portone di ingresso si veniva assaliti da un odore nauseabondo. A pian terreno l’alloggio di una coppia di vecchietti. “Dottò, ‘ncopp ce sta ‘na puzza insopportabile”, ci dice l’uomo mentre è intento a spandere qualche indumento sullo stendipanni. Saliamo al primo piano e ci accoglie una rumena affacciata ad un balconcino insieme a due bimbi. Ci guarda preoccupata, non riesce a capire il motivo di quella intrusione. Andiamo oltre. Apriamo una porticina ed appare alla nostra vista una coppia di giovani con il loro piccino. Una stanza di 7-8 metri quadrati con un letto, un angolo cottura, un piccolo televisore (?) e tanto disordine. Un’altra rampa di scale e ci troviamo in un altro alloggio di fortuna. Qui c’è maggior ordine. Una cucina, un letto e qualche mobile. Una tenda di fortuna separa un altro ambiente dove troviamo ancora un letto. Poi si esce su di un ballatoio che conduce ad altri alloggi, tutti abitati. Ci affacciamo giù e notiamo una decina di materassi sparsi sopra i lastrici solari di un “appartamento” sottostante. Probabilmente saranno serviti per dare ospitalità ad altri coinquilini. Spinti dalla curiosità, domandiamo se ci sono servizi igienici. Una donna ci mostra una porticina su un ballatoio: un “water” comune per decine di persone. E l’acqua? Dove si approvvigionano dell’acqua? Non ci rispondono, solo dopo veniamo a sapere dagli abitanti del posto che tutte le mattine le donne della comunità rumena si recano in via De Simone dove riempiono taniche e bottiglie d’acqua dalla fontana pubblica. Ci allontaniamo dal posto ancora increduli di tanta miseria. Una miseria mista ad incoscienza: come si può vivere in alloggi così precari, dove i muri sono solcati da fessure larghe centimetri? Dove basta un niente per far venire giù il palazzo? Come è accaduto in via Aurora qualche giorno fa. GIL DARIDA (dal periodico settimanale TorreSette)