A cura della Redazione
Continua il calvario di Angelo Arpino, 50 anni di Torre Annunziata, sindacalista RSA - CISAL ed ex dipendente della Termomeccanica (T.M.E. SpA), società che gestisce il depuratore Foce Sarno, nel quartiere CMI di Castellammare di Stabia. La sua storia inizia nel maggio 2007 alle ore 12,00, giorno in cui alcuni cittadini di Castellammare di Stabia occuparono il depuratore di Foce Sarno per protestare contro lo scarico di percolato nello stesso. «In qualità di sindacalista - racconta Arpino - ero diventato il punto di riferimento dei cittadini e spiegavo loro il funzionamento del depuratore e le eventuali disfunzioni. L’impianto non era munito di pretrattamento del percolato e le analisi del materiale non venivano effettuate all’interno dell’impianto, bensì da laboratori esterni all’azienda. Queste mie osservazioni - continua Arpino - provocarono la protesta dei residenti che si rivoltarono contro la società che gestisce l’impianto di depurazione. Da quel momento è incominciata la mia odissea». Il 24 luglio successivo, la T.M.E. di La Spezia inviava al signor Arpino una contestazione scritta, in cui accusava lo stesso di avere avuto comportamenti scorretti e violenti, e di aver aizzato la folla contro l’azienda. Pertanto, avendone leso l’immagine, veniva sospeso dalle attività lavorative in via cautelare. «Quindi, giorni dopo, il 7 agosto - continua il racconto di Arpino - fu convocata un’audizione per sentire le parti interessate. Io ero rappresentato dal segretario generale della CISAL, Francesco Napolitano, il quale contestò la “contestazione” della società, chiarendo che il mio atteggiamento non era stato “violento” e “volgare” e che non avevo mai leso l’immagine della società. E, pertanto, chiedeva il mio reintegro appellandosi a varie sentenze di Cassazione, che prevedono il reintegro, dopo una sospensione cautelare, entro il termine massimo di dieci giorni». Reintegro che non c’è mai stato, anzi. «Il 4 settembre 2007 la T.M.E. SpA procedeva al mio licenziamento - prosegue l’ex sindacalista - perché il sottoscritto avrebbe violato i più elementari doveri di fedeltà e diligenza facendo affermazioni pregiudizievoli dell’immagine dell’azienda. Questo provvedimento rappresentò per me un vero pugno nello stomaco. Da un giorno all’altro mi trovavo privo del mio lavoro, unica fonte di sostentamento per mia moglie e i miei quattro figli». L’8 novembre 2007 Angelo Arpino minacciò il suicidio. Si arrampicò sul silos dell’impianto intorno alle 10,00 e ne scese solo intorno alle 12,00, dopo l’intervento di forze dell’ordine, politici e colleghi accorsi per aiutarlo ed esprimere la loro solidarietà. «Quello fu un gesto estremo - ricorda Arpino - per sensibilizzare l’opinione pubblica e i mass media sul grave torto che avevo subito». Vale la pena di ricordare che in seguito alla manifestazione di protesta dei cittadini, fu siglato un accordo tra il Comune di Castellammare, la Regione Campania, il Comitato di Cittadini e la stessa T.M.E. che obbligava a limiti ben precisi lo scarico di percolato nel depuratore. Ma, verificato che nei mesi successivi tale accordo non veniva rispettato, il sindaco di Castellammare ordinò la chiusura del depuratore in quanto “la quantità di percolato sversato era tale da rappresentare un serio pericolo per la comunità”». L’inquinamento accertato del mare era dovuto alle immissioni prima sospettate e poi individuate delle fogne nere che confluivano in vari tratti del litorale. Angelo Arpino era colpevole di aver denunciato tutto questo. Licenziato perché troppo “scomodo”. Lavora con la società dal 1988. Una vita dedicata a una società che non ci ha pensato due volte a licenziarlo. E come è possibile che si possa, nel terzo millennio, perdere il lavoro, perché si denunciano le disfunzioni della gestione aziendale? C’è da chiedersi, ora, chi licenzierà i responsabili della T.M.E.? Chi si preoccuperà di punire i responsabili degli scarichi, che non hanno provveduto a risolvere il problema? Quali sanzioni, pecunarie e/o penali, sono previste per chi è reo di disastro ambientale e spreco di fondi pubblici? «Successivamente, dietro un mio ricorso - continua Arpino - ci fu la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata per il mio reintegro nell’azienda. Presentatomi al lavoro, trovai i cancelli chiusi ed una comunicazione della società che si opponeva alla mia riassunzione in quanto aveva presentato un controricorso al Tribunale perché confermasse il mio licenziamento, adducendo quale motivazione il fatto che avrei rilasciato alla stampa notizie false. Mi opposi a questo secondo ricorso - prosegue Arpino - tramite lo stesso legale che mi aveva difeso in prima istanza. Purtroppo, nel novembre del 2008, il magistrato respinse il ricorso dichiarandolo inammissibile per un vizio di forma: non avevo firmato l’impugnativa. Da quel momento ho fatto di tutto per far valere il mio diritto al lavoro. Ho scritto al sindaco, al sindacato, al CIA (Ciclo Integrato delle Acque), ma finora non ho avuto nessuna risposta. Intanto, ho grosse difficoltà a provvedere al sostentamento della mia famiglia. Ho pigioni arretrate e utenze domestiche non pagate, a stento riesco a mandare mia figlia di sei anni a scuola». Intanto il 15 di gennaio prossimo, il magistrato si dovrà esprimere sull’istanza presentata da Arpino circa la richiesta di sanatoria per il vizio della mancata sottoscrizione dell’impugnativa. »Spero che la mia richiesta venga accolta - conclude l’ex dipendente della T.M.E. SpA - altrimenti non oso pensare cosa succederà...». BENNI GAGLIARDI