A cura della Redazione

In occasione de "I Cento Passi verso il 21 marzo" e per la Giornata in Memoria di Matilde Sorrentino del 22 marzo, iniziative promosse dal presidio di Libera Torre Annunziata "Raffaele Pastore e Luigi Staiano", proponiamo la recensione che spazia fra cultura, valori e sentimenti, di Annamaria La Rocca al libro di Maria Elefante "Le figlie della fortuna" (Graus Editore), che sarà presentato alla manifestazione, in programma martedì prossimo, alle ore 10.30, all'Istituto "Marconi" di Torre Annunziata.

La dedica "ai bambini vittime di veleni, camorra e malasanità e alle mamme coraggio" appare ad orientare il lettore come una stella polare e significa che questo romanzo ha anche una funzione di denuncia. 

L'autrice racconta insieme, testimoniando come siano tra loro legate, le vicende di tre generazioni e quelle della nostra terra e giunge, forte delle sue conoscenze, a descriverla com'era nella sua età dell'oro. Una terra che la lingua di una grande civiltà dalle origini agricole aveva definito "felix", cioè feconda, fertile, produttiva. Una terra che "proteggeva come una culla i teneri germogli " e la cui acqua sorgiva era un "toccasana per piante, animali ed uomini". In queste parole si leggono l'amore dell'autrice per la terra in cui è nata e insieme il dolore per lo scempio enorme compiuto ai danni della terra stessa e di quanti la abitano. 

La misura dello scempio e la sua denuncia emergono da fatti vissuti dall'autrice, da suoi ricordi e conoscenze, e dal drammatico contrasto tra quella terra che "proteggeva come una culla i germogli " e "i bambini che hanno avuto per culla una bara".

Intenso il tema della fertilità , della maternità e del dolore delle madri che sopravvivono ai figli; un dolore che trova senso nel coraggio e nella forza di resistere al male e di denunciarlo. 

E il tema della bellezza...La bellezza delle parole cesellate dall'autrice, docente di filologia classica, dalla musicalità colta del latino a quella a noi familiare del dialetto, alla bellezza delle radici della nostra cultura, all'archeologia negata alla sua terra natale e a quella di Moregine. 

E qui ricordo un altro lavoro di Maria Elefante, nel quale attraverso la bellezza di un affresco raffigurante Eco e Narciso l'autrice denuncia lo scempio dell'archeologia negata alla nostra terra. L'affresco, conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, costituisce l'unica opera strappata alla distruzione di antiche ville patrizie poste sul nostro lungomare, distruzione compiuta per fare spazio alle fondamenta del primo tratto ferroviario Napoli-Portici.

Una bellezza che denuncia la verità e racconta il pregio di quanto è andato distrutto, e quindi assolve anche a una funzione sociale. 

E il tema delle organizzazioni criminali, che sciacallano sui piccoli debiti con il prestito ad usura per sottrarre terra ai proprietari e cementificarla, oppure per ridurla a discarica di rifiuti tossici, con la collusione delle istituzioni. 

E poi c'è il personaggio chiave, Tommaso Santillo, docente di fisica teorica all'Università di Harvard. Egli conosce le leggi dei fenomeni naturali, e non solo. Conosce, per averle sperimentate, le antiche virtù terapeutiche dell'acqua del pozzo della fortuna, e poi ne scopre per mezzo delle analisi la contaminazione con cadmio, tungsteno, diossina e arsenico. Il professore sa che la preghiera produce effetti chimici su chi prega e sulla natura, e che persone che prima vivevano rispettando le leggi della terra e pregando, ora sono governate dall'avidità e adorano il dio danaro, e per questo si allontanano dalla propria vocazione naturale e ne allontanano la terra. E così la denuncia ha il suo fondamento scientifico, la sua prova provata.

E infine ci siamo noi, che siamo concittadini di Maria Elefante. Quanto conosciamo quello che scrive, e l'amore e la bellezza e la cultura che mette? Quanto di lei divulghiamo nella scuola? Quanto parliamo di diritto all'ambiente salubre, di cultura del territorio, di senso dell'appartenenza ai nostri luoghi? 

Annamaria La Rocca