A cura della Redazione
ONNA (L’Aquila) — È straziante guardare la signora Tiziana mentre si inginocchia sul prato e invoca il nome delle sue figlie. Lei sa che Susanna e Benedetta non ci sono più. Ma continua a chiamarle. Appena i vigili del fuoco si avvicinano trasportando corpi senza vita, va veloce verso di loro, chiede subito di spostare il lenzuolo. Poi scuote la testa, si ritrae. Però non riesce a fermare le lacrime. Si accascia sull’erba e piange anche Anna Rita. Lei aspetta Fabio, il suo ragazzo di 21 anni che era andato a dormire dalla nonna. La accudiva, le faceva compagnia per la notte. E adesso fa impressione vedere questa donna che non vuole farsi illusioni. «Il padre l’ha visto in quel letto, non c’è speranza», sembra quasi consolare le donne del paese che la sorreggono, le stanno intorno e le accarezzano il viso stravolto da una smorfia di dolore che non può attenuarsi. È una disperazione senza conforto quella delle madri di Onna. Perché sono sopravvissute ai loro figli e adesso hanno quasi paura a sollevare quei lembi di stoffa per guardare i cadaveri e scoprire che non c’è più speranza, che mai potranno più abbracciarli, oppure soltanto sfiorarli. Quando le bare vengono chiuse e caricate sui furgoni dei vigili del fuoco loro si guardano attorno, terrorizzate per quello che d’ora in poi saranno costrette a sopportare. Non ha più un filo di fiato la giovane donna, già fiaccata da un male incurabile, che sotto le macerie ha perso i suoi bimbi, due maschietti di 2 e 3 anni, e suo marito Antonio. Non ha più parole Pina Parisse — moglie di Giustino, il giornalista del quotidiano Il Centro — inconsolabile per la morte di Maria Paola, 15 anni, e Domenico, 17. Questo paesino con 300 abitanti è il centro della catastrofe, il luogo simbolo di una tragedia spaventosa. Perché qui si parla di 20 morti e 40 dispersi, ma i vigili del fuoco dicono che le stime riguardano soltanto le case della cinta, «invece nel centro nessuno è ancora riuscito ad arrivare e contare chi non risponde all’appello». Le palazzine sono venute giù in pochi secondi e sono soprattutto i grandi ad essersi salvati, mentre i piccoli non hanno avuto scampo. Piccoli anche se sono come Susanna che aveva 16 anni e sua sorella Benedetta, 27 compiuti da poco. La minore viveva con la famiglia, dormiva nell’ala che si è sbriciolata. Katya, la sua amica del cuore ora piange mentre la macchina escavatrice rimuove macerie alte 10 metri. «Eravamo cinque compagne di scuola, stavamo sempre insieme. Ora sono sola», grida mentre la madre cerca di afferrarle le mani e calmarla. I corpi vengono ammassati sul campo, spesso sono le ambulanze a portarli via. I feriti da soccorrere qui sono una decina, quando le squadre di volontari e specialisti sono arrivate poco prima delle 8, si è capito subito che ci sarebbero stati pochi superstiti da aiutare. Perché la scossa delle 3.32 è stata devastante e riuscire a mettersi in salvo era difficile, con le scale crollate, la luce saltata, il gas che fuoriusciva dai rubinetti. Dall’altra parte della strada, arroccato sulla montagna c’è il paese di San Gregorio, poco più di 200 abitanti. È raso al suolo, anche qui ci sono pochissimi sopravvissuti. Nessuno sa dire quale fosse la casa che ospitava una mamma francese con la sua bimba arrivate per trascorrere le vacanze di Pasqua e rimaste vittime del terremoto. E invece tutti conoscono la villetta dove vivevano Massimo Calvitti e sua moglie. Lui faceva il poliziotto, era in servizio alla prefettura de L’Aquila. Sono stati i suoi colleghi a trovarlo. Quando hanno estratto dalla macerie il comodino con la pistola nel cassetto, hanno capito che per lui non c’era più nulla da fare. Hanno facce segnate dal terrore gli uomini rimasti nella piazza di Paganica. Guardano la chiesa che potrebbe crollare, i vicoli ostruiti dai detriti. Entrare con le gru e le escavatrici non è facile, bisogna aspettare i mezzi più piccoli. E provare ad arrivare al primo piano di quella casa che affaccia sul corso dove vive un gruppo di albanesi, con la bimba di 3 anni che tutti coccolavano e adesso non si sa dove sia. Ugo De Paulis, delegato del sindaco, non riesce neanche a digitare i tasti del telefonino per avere notizie dei suoi compaesani. Ha le mani che tremano, la voce si spezza quando pensa ai morti da contare e ai vivi da sistemare perché nessuna di queste case sarà dichiarata agibile e migliaia di persone finiranno sfollate per mesi, forse per anni. La badessa del convento di clausura è tra le vittime, altri due anziani mancano all’appello. Gli abitanti di Tempera, frazione distante due chilometri, sono tutti ammassati nel parcheggio. Ci sono i piccoli da accudire e così provano a collegare le bombole del gas ai fornelli da campo per scaldare il latte, attrezzarsi per una giornata che si preannuncia lunga e difficile. A Poggio Picente i bimbi morti sarebbero tre. A Fossa è venuta giù la montagna ed è franata una delle strade di collegamento. Gli abitanti sono in fuga, il paese è spettrale nella sua desolazione. Ma è quando si torna verso Onna che la tragedia si manifesta nella sua dimensione perché soltanto il calare della notte e la grandinata convince i volontari a interrompere la ricerca dei cadaveri. (corriere.it)