A cura della Redazione
Vuole riprendere gli allenamenti, Pietro Aurino, il pugile originario di Torre Annunziata già campione d’Europa dei pesi massimi leggeri, di recente condannato dal tribunale di Civitavecchia a dieci anni di carcere per il suo coinvolgimento nell’inchiesta della Procura distrettuale antimafia di Roma denominata “Nerone”. I giudici hanno dimezzato la richiesta avanzata dalla pubblica accusa, rappresentata in aula dai sostituti Giovanni Di Leo e Edmondo De Gregorio, e adesso la difesa si prepara al contrattacco. “La prossima settimana - spiega l’avvocato Salvatore Sciullo del foro di Roma che difende Aurino in tandem con il suo collega Vincenzo Strazzullo di Napoli - formalizzeremo la richiesta di appello in quanto non condividiamo le motivazioni, né la quantificazione della pena a carico del nostro assistito che vuole riprendere ad allenarsi, compatibilmente con le esigenze detentiva”. Aurino, trasferitosi da tempo a Civitavecchia, è tuttora detenuto, ma presto sarà depositata l’istanza per la concessione dei domiciliari. L’inchiesta che ha portato dietro le sbarre una delle punte di diamante delle boxe italiana è stata condotta dai carabinieri che hanno tratto in arresto dodici persone ritenute responsabili, a vario titolo, di traffico di droga, estorsioni e rapine. Le indagini hanno preso il via dopo le ripetute intimidazioni contro un imprenditore del settore dei trasporti marittimi. La vittima aveva subito tre atti intimidatori, a Civitavecchia, nel maggio 2005, poi a dicembre del 2006 ed infine il 30 gennaio 2007. I malviventi avevano sparato con pistole di diverso calibro contro l’autovettura della vittima, e successivamente contro l’abitazione e il cancello della villa. L’inchiesta ha avuto un’accelerazione improvvisa quando l’attenzione dei militari si è concentrata sulla precedente attività del taglieggiato, sponsor di alcuni pugili locali tra i quali Aurino. In particolare gli inquirenti hanno ritenuto che il tutto fosse collegato a una sponsorizzazione negata nel periodo corrispondente al primo attentato. CARMINE ALBORETTI