In occasione della mostra dei Pupi a Palazzo Criscuolo, che sarà inaugurata il prossimo 2 luglio, riproponiamo l'intervista del nostro giornale al maestro Lucio Corelli, discendente della famosa famiglia di pupari di Torre Annunziata.

Sono in via della Fortuna a Torre Annunziata, al civico 13. A casa di Lucio Corelli, l’ultimo di una generazione di pupari torresi. Una tradizione familiare che risale, nella nostra città, ad oltre centotrentacinque anni fa. Ce la racconta proprio Lucio, con una chiacchierata di tre ore che si trasforma in un’intervista.

«Il mio bisnonno Fausto Corelli era un ufficiale borbonico che aveva rinunciato alla carriera per dedicarsi al teatro. Aveva sposato Adelaide Petito, figlia di Salvatore e Donna Peppa (Giuseppina D’Errico, ndr), che già nel lontano 1826 gestivano un famoso teatrino, il Silfide, a Napoli. Dal loro matrimonio nacque poi mio nonno Nicola, che si trasferì a Torre Annunziata, con la moglie Carolina De Simone, nella casa dove ora abito. Già nel 1880 aveva aperto un teatrino di pupi di fronte alla sua abitazione, rappresentando allora una commedia dal titolo “Il trionfo di Davide” (a questo punto mi mostra la locandina dell’epoca, ndr)».

Quindi, suo nonno non era solo un puparo…

«No, anzi diventò un grande impresario ed attore teatrale. Faceva spettacoli sia con marionette che con pupi, oltre a rappresentazioni in teatro. Aveva al riguardo un preciso calendario. Dal 7 dicembre al 6 gennaio si dedicava alla cantata dei pastori, che rappresentava con la sua Compagnia teatrale a Torre Annunziata e nei Comuni limitrofi. A maggio e giugno, solo opere sacre, una per sera, come “Il trionfo di Davide”, “La strage degli innocenti del re Erode”, “L’Arcangelo San Raffaele”. Alla presenza del re Umberto rappresentò “Il Ballo Excelsior”».

E i pupi?

«Negli altri periodi, iniziando di pomeriggio alle 16, teneva spettacoli di un’ora per il popolino, che replicava perché il teatrino aveva al massimo cinquanta posti. Poi, a sera tardi, per i padroni di pastificio e per i professionisti locali. Erano a puntate, quindi era appassionante seguirli di giorno in giorno, ed avevano come protagonisti “L’Orlando furioso”, “Guerin meschino”, “I Reali di Francia”. Ma, poiché era molto religioso, non rappresentava le storie dei guappi».

Il teatrino è sempre stato a via della Fortuna?

«No. Poi fu spostato al corso Vittorio Emanuele III, dove c’era l’entrata, all’angolo con via Sambuco, da dove si usciva. E, durante la prima Guerra mondiale ed anche dopo, fino alla sua morte nel 1926, sempre al corso Vittorio Emanuele ma poco distante dal coloniale “Crescitelli”.  Intanto, nel 1908, nacque il cine-teatro Politeama-Corelli, con interni tutti in legno, dove è ubicato oggi, anche se non si chiama più così perché nel 1948 il primo figlio Alberto “vendette” il nome per 40 mila lire dell’epoca. Ora, a chiamarsi Corelli è il teatro di Trecase costruito dall’altro figlio Arturo, che si trasferì nel piccolo Comune vesuviano. Solo Vincenzo e Alberto rimasero a Torre Annunziata».
 

Quindi, dopo la scomparsa di Nicola, continuarono la sua attività i quattro figli maschi ma non le femmine.

«Sì, e si trasferirono in un altro locale, sempre al corso Vittorio Emanuele, ma di fronte al precedente, dove rimasero fino al 1932. Da quell’anno il teatro divenne itinerante, girovagando per le città della Campania, della Calabria ma, soprattutto, della Puglia. Poi, Amedeo, che aveva una bellissima voce e che impersonava oltre ai pupi anche la maschera di Pulcinella (come lo zio Antonio Petito, famoso interprete dello stesso Pulcinella, ndr), con Vincenzo che gli faceva da spalla, si trasferì a Castellammare di Stabia dove aprì un teatrino in via Santa Caterina. Invece Vincenzo, mio padre, nel 1937/38 inaugurò un nuovo teatrino al Largo Fabbrica d’Armi. A proposito, voglio raccontarvi un particolare curioso della sua nascita…».

Ci dica…

«Quando nacque nel 1901, sua madre Carolina era con il marito Nicola a Castellammare di Stabia, dove lui aveva un teatrino di pupi. Perciò si misero in viaggio per ritornare a Torre Annunziata, nella loro casa in via della Fortuna. Ma al Ponte della Persica c’era un posto di blocco che non consentiva a nessun neonato non vaccinato di passare, perché in zona era in atto un’epidemia infettiva. La mamma, allora, su consiglio del marito, usò uno stratagemma. Allattò Vincenzo, lo fece addormentare e lo nascose in un cassone... tra i pupi! I gendarmi non si accorsero di nulla ed i suoi genitori potettero così rientrare a Torre Annunziata dove Vincenzo fu dichiarato al Comune».

Ma ritorniamo al teatrino di Largo Fabbrica d’Armi...

«Lì Vincenzo faceva spettacoli di pupi, teatro, sceneggiate cantate, anche se durante l’estate il teatrino restava chiuso, e con la sua Compagnia andava nei paesi limitrofi a rappresentare le vite dei Santi, in particolare quelli locali. Restò a Largo Fabbrica d’Armi fino al 1948, ebbe in quel periodo un grande successo di pubblico e guadagnava molto soprattutto quando rappresentava il guappo napoletano Tore ‘e Criscienzo. Anzi, per prolungare la storia e non farlo morire presto, Vincenzo inventò un altro personaggio, Ciccillo ‘ra Pruvulera».

Ce ne parli.

 «Era un guappo torrese realmente esistito, che inizialmente si chiamava con il suo vero nome, Liberatiello Fiorenza. Ma quest’ultimo personaggio non ebbe fortuna tra gli spettatori perché era un disoccupato che, per ottenere un lavoro giù al porto, litigò e così cominciò la sua carriera di malavitoso. Non piaceva, però, al pubblico e dopo alcune serate fu “eliminato” e riproposto sotto altre vesti, non più operario malvestito ma guappo elegante e rispettato che era in scena insieme a Tore ‘e Criscienzo. La malavita della Provolera accorreva in massa per assistere agli spettacoli del suo beniamino e Ciccillo ‘ra Pruvulera divenne un idolo, addirittura più famoso del guappo napoletano. Una locandina recitava così: “A primma culussale appiccica ‘e Ciccillo ‘ra Pruvulera”. Ci fu, poi, un tragico e reale finale di questo guappo torrese, che fu arrestato e imprigionato nel carcere dell’isola di Pantelleria, dove venne ucciso».

Cosa successe dopo la chiusura del teatrino in Largo Fabbrica d’Armi?

«Vincenzo viaggiò con la sua Compagnia per tutta la Puglia, dove le storie dei suoi pupi erano conosciute ed apprezzate. Poi, nel 1950, aprì un nuovo teatrino in via Sambuco che, però, resistette per appena quattro anni. Con la nascita della televisione, il pubblicò diventò sempre più raro, il teatrino fu chiuso e noi attraversammo un periodo di vera e propria fame».

Noi chi?

«Mio padre Vincenzo, suo figlio primogenito e omonimo Vincenzo, io, mio fratello Nicola e le tre mie sorelle Maria Rosaria, Tina ed Anna. Iniziammo così a girovagare per altri quindici anni per la Puglia, la Calabria e la Campania, le nostre tre “piazze”, non più in teatri ma con un baraccone viaggiante dove tenevamo gli spettacoli dei pupi. Dopo la morte di mio padre, avvenuta nel 1970, ritornammo a Torre Annunziata dove aprimmo un teatrino, il 13 novembre 1971, in via Zuppetta 36. Mio fratello Vincenzo aveva rinunciato da anni al nostro mestiere, che continuammo solo io e l’altro mio fratello Nicola».

Ci racconti un po’ di lei...

«Sono nato il 2 novembre 1939 e già quando era incinta di me, mia madre Giovanna Furiati recitava in palcoscenico. Poi, da neonato in fasce, mi lasciava tra le quinte. Ogni tanto io piangevo e il pubblico protestava dicendo ad alta voce “’O criature chiagne e nun ce fa capi’ ‘e parole!”. Dai quattro ai cinque anni ero già tra le quinte a guardare l’opera dei pupi. A sei anni davo la mia voce ai bambini dei pupi, su suggerimento di mio padre Vincenzo che, quando sbagliavo, mi dava uno scappellotto. A dieci anni manovravo i pupi. Ricordo, quando ero piccolo, che venivano oltre una decina di bambini a pulire il teatrino di Largo Fabbrica d’Armi, a lucidare le armature in ottone che si scurivano, a trasportare i pupi dal deposito al teatrino. E lo facevano al mattino per assistere poi gratuitamente allo spettacolo della sera».

Ritorniamo al teatrino di via Zuppetta. Fino a quando è rimasto aperto?

«Fino al 1982, quando l’abbiamo chiuso definitivamente io e mio fratello Nicola. Ricordo che lavoravamo molto la domenica fino ad allora, poi dovemmo rinunciare a causa delle partite di calcio che “desertificavano” il teatrino e quindi la domenica divenne il giorno di riposo. Facevamo allora spettacoli in occasione di battesimi, comunioni e matrimoni in villette dei Comuni vicini, per rallegrare i bambini che si divertivano moltissimo».

E poi la crisi definitiva.

«Sì, sono trascorsi ormai più di trent’anni dalla chiusura dell’ultimo teatrino. Ho cercato più volte di riproporre la tradizione dei pupi, tenendo spettacoli presso l’Istituto superiore “Cesàro” di via Volta ed istruendo una decina di ragazzi a casa mia. Ma è stato tutto inutile. Non ho mai ricevuto fondi pubblici per tramandare questa affascinate e appassionante storia dei pupi ed ora il patrimonio di esperienza che ho si sta disperdendo. Anche i pupi, che nel corso della mia vita ho costruito lavorando il legno, ho vestito cucendo abiti d’epoca, ho attrezzato con armature in ottone cromato e con spade, ora giacciono “senza vita” nel mio deposito.  E a casa mia ci sono i copioni che nel tempo ho aggiornato per renderli più moderni. Tutto abbandonato, tutto caduto nel dimenticatoio della memoria storica di Torre Annunziata. Nessuna Amministrazione comunale, tranne qualche rara eccezione, ha mai saputo valorizzare questa ricchezza, unica nel suo genere, che poteva essere un motivo di orgoglio e di vanto per la città. Ora mi restano solo i ricordi e, caro professore Cardone, ho voluto trasmetterli a lei come mio testamento spirituale».

L’amarezza e la commozione di Lucio è evidente e rattrista. E pensare che nel 2001 l’opera dei pupi è diventata patrimonio orale ed immateriale dell’Umanità... Ma ora una fiammella si è accesa. L'Amministrazione comunale ha deciso di allestire a Palazzo Criscuolo la mostra sui Pupi, visitabile da luglio.

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