A cura della Redazione
Al Lingotto di Torino sono attesi, dal 23 al 27 ottobre, i rappresentanti delle terre di origine vulcanica, con i loro prodotti, ospitati nello stand della Comunità del Cibo ad Energie Rinnovabili. Una vetrina prestigiosa per i tantissimi visitatori della kermesse internazionale che si svolgerà a Torino, un’ottima occasione per promuovere questi territori particolari che rappresentano una preziosa peculiarità naturalistica in virtù dei paesaggi magnifici e surreali, autentici presidi di prodotti agricoli di qualità che poche altre terre possono offrire ai viaggiatori del gusto Ci sarà anche il Parco Nazionale del Vesuvio, insieme alla Condotta Slow Food dell’area vesuviana, in rappresentanza dei 13 comuni, al Salone del Gusto e Terra Madre. L’ente intende aderire al progetto “Terre dal Cuore Caldo”, promosso dalla Fondazione Slow Food per la biodiversità Onlus, dal Co.Svi.G (Consorzio per lo Sviluppo delle Aree geotermiche), e da Energeo Magazine. Alla kermesse torinese, organizzata a Lingotto Fiere, dal 23 al 27 ottobre, prenderà l’avvio un viaggio affascinante per raccontare le vicende storiche e geomorfologiche dei territori di origine vulcanica, alla scoperta di tutti quei prodotti tipici che poche altre terre possono offrire ai viaggiatori del gusto. Il progetto “Terre dal cuore caldo” - che aderirà a Res Tipica ANCI, l’organizzazione di Identità territoriali - si propone di associare tutti questi territori particolarissimi, nei quali aria, terra, acqua e fuoco offrono spettacoli suggestivi e surreali per valorizzarli e promuoverli in tutta la loro preziosità naturalistica. L’iniziativa, inserita nel programma dell’unico grande evento che rappresenta in tutto il mondo un luogo d’incontro e aggregazione dove si praticano l´economia e lo scambio, sarà presentata il 23 ottobre (ore 18,30) nella Sala Slow Fish. Il progetto, avviato dal Consorzio che raggruppa tutti i comuni dell’Area geotermica della Toscana, trova, infatti, al nastro di partenza due parchi Nazionali (quello dell’Etna, il vulcano riconosciuto dall’UNESCO patrimonio dell’Umanità e il parco del Vesuvio), tre regionali (i Castelli Romani, quello dei Colli Euganei ed il Parco naturale delle Alpi Marittime, che ha come centro principale il Comune di Valdieri, noto centro di villeggiatura e termale, un territorio inserito nel progetto Alpi del Mare, con le aree transalpine Marguareis e Mercantour ) e poi ancora i comuni della Valsesia, del novarese e del biellese (Valsessera) interessati dalla presenza del Supervulcano, recentemente riconosciuto come Geoparco dall’UNESCO. Il lungo elenco comprende anche la città di Catania, il comune di Ustica e i tre comuni dell’Isola di Salina ( Santa Marina, Malfa e Leni) dove sono insediati importanti presidi Slow Food, l´interesse generale per la cultura e, nello specifico, per la geologia, l’archeologia, la geofisica e la vulcanologia nel territorio. A questi si aggiungeranno, in futuro, i Comuni dell’area Flegrea con le isole del golfo di Napoli e i comuni insediati nel territorio dell’antico vulcano Vulsinio: Acquapendente, Orvieto e Bolsena. Il Commissario straordinario, professor Ugo Leone è entusiasta del progetto. Dice: “Il progetto è estremamente interessante. Lo abbiamo valutato attentamente insieme al professor Giuseppe Luongo, già direttore dell’Osservatorio Vesuviano. E’ valido perché tocca uno dei gli aspetti particolari delle aree vulcaniche. Ogni eruzione ha anche dato maggiore fertilità al suolo agricolo e caratteristiche e sapori “unici” ai suoi prodotti che hanno ricevuto i riconoscimenti doc per i vini e igp per i famosi pomodorini del “piennolo”. “È, questa, la biodiversità dei prodotti agricoli che va tutelata, esaltata e lanciata sui mercati: dalle albicocche ai pomodorini; dal corbezzolo ai mieli; dai vitigni ai vini; dai formaggi ai salumi - suggerisce il professor Leone. Precisa: “C’è, poi, un’arca che, secondo una felice intuizione di Slow food, deve anche contenere prodotti a rischio di estinzione. E a rischio perché non noti; perché il loro ricordo si è andato perdendo e, di conseguenza si è andata perdendo l’abitudine al consumo e quindi alla produzione. Mi piace ricordarne almeno tre: il gelso, il corbezzolo, il sorbo tipici dell’area del Parco e da mettere in salvo prima che si salti una generazione e se ne perda traccia. È questo che intendo vada fatto quando parlo di tutela della biodiversità culturale”.