A cura della Redazione
Aveva appena tagliato il traguardo dei 90 anni, la signora Carlotta Arpaia Corcione, morta ieri a Roma. Professoressa di materie letterarie nelle scuole medie, ha insegnato per quattro decenni: prima alle magistrali di Madre Remigia, poi in trasferta a Scafati, quindi il ritorno a Torre Annunziata alla Manzoni per chiudere all’Alfieri sul finire degli anni 80. Madre di Massimo Corcione, giornalista e nostro editorialista, e di Michele, dirigente della Telecom, è stato punto di riferimento di una famiglia allargata a tutti i nipoti. L’ultimo saluto le verrà dato lunedì 2 marzo nella chiesa della SS. Trinità, in via Alfani, alle 16. Il direttore Giuseppe Chervino, il fondatore Antonio Gagliardi, Salvatore Cardone, Domenico Gagliardi, Enza Perna, Dario Ricciardi e la redazione tutta di TorreSette, nell´esprimere le più sentite condoglianze ai familiari, stringono in un ideale e affettuoso abbraccio in particolare l´amico e collega Massimo in questo momento di profonda commozione. Di seguito, il ricordo della signora Carlotta nelle parole del figlio Massimo. A MIA MADRE A volte, e non solo a volte, ti accorgi che nulla accade per caso, ma tutto è retto da una logica perfetta, anche se a prima vista risulta incomprensibile. Venerdì ero al Liceo, ospite a un corso di formazione per giornalisti. Mi viene incontro un ex ragazzo dai capelli tutti bianchi, è Carlo Avvisati, collaboratore da Pompei del Mattino: “Ma tu sei figlio della professoressa Corcione? Ho passato con lei tre anni delle scuole medie, dal 1962 al 1964, quando fu la mia insegnate d’italiano. E chi se la scorda più?”. Perché, dopo 50 anni, quel ricordo lontanissimo è riemerso, riportando a galla emozioni sepolte dal tempo? Non bastava la presenza in prima fila di Peppe Chervino che invece faceva formazione con Mosca, Desiderio, Di Gennaro, Di Maria, Santoro, Mario Cuomo e Amitrano e poi Sansone. Per me, fanatico divoratore di almanacchi del calcio, le classi di mia madre erano come le squadre da mandare a memoria, con la differenza sostanziale che con questi fantastici calciatori condividevo l’allenatore, o meglio l’allenatrice: mia madre, appunto, la prof tutta casa e scuola, capace di non far scattare gelosie in due ragazzini, anzi in sei, che mai si sono sentiti trascurati da lei che mai s’è risparmiata. Prima c’erano stati i Prisco e Lucibelli I, poi sarebbero venuti gli Ortello, quindi Pettorino e Lucibelli II, Sica e D’Alessandro: tutte figurine di un favoloso album, in cui mancavano i doppioni, erano tutti pezzi originali, con la loro storia e il loro talento. Una vicenda umana cominciata prestissimo con parenti e amici diventati subito alunni, le prime lezioni interrotte dalle sirene che annunciavano prossimi bombardamenti. Una vocazione sempre onorata a far da punto cardinale nella navigazione di un´intera famiglia. Ecco, mentre parlavo di futuro multimediale, ero tutto il giorno arrovellato in questi pensieri innescati da una figurina improvvisamente riapparsa (Avvisati della “Martiri d’Ungheria” di Scafati) quando una notte chiara s’oscurò. Una telefonata da Roma e fu l’inizio della fine. Una vita m’è sfilata davanti, il parabrezza dell’auto che mi portava da mia mamma per l’ultima volta s’è trasformato in uno schermo gigante. Non c’era obiettività in quella regia, come accadrebbe per tutte le mamme del mondo, se un loro figlio curasse l’edizione di un’opera omnia. Ma non c’è nulla di più speciale dell’ordinario, se quello ti appartiene. Anche una dedica scontata: a mia madre, grazie. MASSIMO CORCIONE