A volte il passato riemerge dal buio di una piazza, in una notte di inizio estate. A Lacco Ameno si era appena chiusa la manifestazione per il premio Ischia, quando un distintissimo signore mi ferma: “Mi hai fatto emozionare, parlando di Torre Annunziata, sono anche io un torrese in esilio volontario”. Le radici sono  anche questo: le gambe che si bloccano, gli occhi che si accendono come riflettori su una faccia ancora sconosciuta, il cervello che disperatamente si mette in caccia di quel volto nascosto chi sa dove nei meandri della memoria. Qualche secondo lungo un vita, finalmente interrotto da un’autopresentazione: “Mi chiamo Sandro Manzo, ora vivo a New York”.

Improvvisamente tutto si compone, con un salto all'indietro di quasi mezzo secolo: Sandro Manzo, Lido Azzurro, l’Ippocampo inventato da papà Luigi e  consegnato a personaggi che hanno fatto la storia della letteratura, del cinema, della canzone. Per anni ho ripetuto (e ripeterò) che dobbiamo liberarci dalla gabbia del ricordo che ci rende prigionieri tra i fantasmi del principe De Curtis, della bellissima Silvana Mangano, di Carosone al piano e Gegé Di Giacomo alla batteria. Ma devo confessare che vedere materializzarsi davanti a me la figura di colui che aveva contribuito a concepire e realizzare quella stagione felice e lontana mi ha procurato una grande emozione.

Tra le mani stringevo ancora il premio che mi era stato appena consegnato, quasi il suggello a una carriera partita proprio da qui, eppure in un attimo sono tornato il bambino stramaledettamente curioso che spiava ciò che ancora non poteva permettersi: il Lido notte club, il Giovedì dei giovani, l’Ondina Sport Sud, il torneo di tennis e pure la bellezza diffusa da quei quadri che d’estate popolavano la lunga veranda delle terme. Per me il passato è una catena trainata dalla biga ricostruita quando avevano girato Ben Hur e piazzata sui giardinetti del lido. Tutto questo era lì, nelle pupille felici di un settantenne e della sua compagna alla quale chi sa quante volte ha raccontato il tempo felice della sua giovinezza. Per lui il passato ero io, comparso su un palco a rievocare la città che entrambi abbiamo lasciato per libera scelta, ma senza mai provare a tagliare il cordone che contiene tutta la nostra vita.

“La prossima volta vienimi a trovare nella mia galleria, a New York”, è il saluto con il quale Sandro Manzo si congeda. Perché il passato non torna, tutt’al più è una visione. Bellissima ed effimera.