A cura della Redazione
Un fiore, una pianta, un albero spesso identificano un luogo del cuore. A quel profumo, a quel colore si resta legati per la vita: nella memoria un angolo diventa immutabile, almeno così vorresti che fosse. Per sempre. Per quelli giovani quando lo ero anch’io, il Pino diagonale della curva di via Gino Alfani ha segnato un’epoca. Felice come lo sanno essere soprattutto quelle passate: più sono lontane, più la favola si sovrappone alla realtà. Leggere che le condizioni di salute dell’albero sono considerate preoccupanti, mi ha procurato dolore, una fitta che localizzerei nell’anima più che nel fisico. Salvarlo è un imperativo categorico che attraversa generazioni di torresi, passati di là in un tratto della propria gioventù. Lì, nella Curva, c’era il circolo universitario, dove gli studenti erano la minoranza, ma la scuola di vita (pratica) era aperta sempre, senza vacanze o settimane corte. Quella chioma asimmetrica era lì a proteggerci dal sole e dai colpi di sole, unendo umanità diversa e modi di vita quasi antitetici. Pure le note musicali erano non accordabili, sotto il Pino: da un lato i Rolling Stones più rassicuranti, dall’altro il rock progressivo dei Jehtro Tull, colonna sonora di una ribellione allora minoritaria. Di qui i calciatori del Savoia (mai tanto integrati come allora); di lì, sul muretto, chi il calcio l’aveva ideologicamente abbandonato dopo averlo giocato come tutti. Testimone silenzioso di questa contraddizione il Pino: più cresceva, più s’inclinava, sotto le sferzate del vento più che per il peso delle preoccupazioni sulla nostra (disastrata) condizione giovanile. La vita, le nostre vite avrebbero provveduto a farci disertare quell’angolo, consegnato a chi sarebbe venuto dopo di noi. L’inclinazione avanzava, fino al punto che fu necessario sostenere il tronco che sfidava la legge di gravità o ribadiva la sua natura anarchica. Oggi vedo convivere ragazzi di stagioni diverse, ma il legame con il luogo è sempre molto intenso. Per tutti è un territorio perennemente da presidiare, una torretta d’avvistamento ideale per scrutare il mare da uno dei punti d’osservazione più suggestivi: l’Oncino, la sagoma inconfondibile di Capri, tutta la Costiera che si spinge fino a Punta della Campanella. Non c’è bisogno di foto, quello squarcio è impresso nel cuore di chiunque, nel tempo, abbia fatto parte di quella comunità. Con il vecchio Pino, immortale, a regalare ombra e protezione. MASSIMO CORCIONE