A cura della Redazione
Siamo già tutti a Manaus, Amazzonia. Terra di fascino e mistero, dove siamo sbarcati con Ciro Immobile. Il conquistatore. Non c’e territorio da annettere all’impero e non c’è neppure l’impero, ma una coppa che per ora sembra un miraggio. Sembra, ma le speranze che l’effimera visione si trasformi in concreta realtà sono legate a un ragazzo torrese che mezza Italia ha eletto a proprio simbolo. L’altra metà è con Balotelli, il bad boy, il cattivo ragazzo. Nello sport come nella vita si vive di dualismi, di poli contrapposti. E opporre Immobile e Balotelli è l’esercizio più facile nel quale ci si possa imbattere. Da una parte c’è lo scugnizzo (tutti i napoletani, per gli altri, sono sempre scugnizzi, che noia!), il biondino di Torre Annunziata, il talento scoperto al campo “Italia” di Sorrento, il goleador infallibile che la Juventus ha troppo frettolosamente bocciato, trasformandolo per anni in sicura fonte di reddito, l’anatroccolo diventato cigno e capocannoniere della serie A prima di essere consegnato alla Bundesliga tedesca a lottare per il Borussia contro il Bayern di Guardiola. Dall’altra c’è il nuovo italiano, il bresciano dalla pelle nera, campione già super celebrato nonostante sia perfetto coetaneo di Ciro; il suo palmarès glielo hanno arricchito soprattutto i compagni nelle squadre per le quali ha giocato: Inter, Manchester City, Milan, cioè la crema del calcio internazionale, anche se l’ultima versione milanista sa tanto di nobiltà decaduta. A ventiquattro anni interpretano il vecchio e il nuovo del pallone nazionale: molto più di Coppi e Bartali, quasi Ettore e Achille, nella rappresentazione che gli altri ne fanno. Loro, i due ragazzi, sono dalla stessa parte, lottano per la stessa bandiera e paiono anche divertirsi molto quando sono insieme. Chi non sarebbe felice di essere in Brasile per giocare il Mondiale dei Mondiali? Potrebbero anche essere piazzati in campo l’uno di fianco all’altro, ma Prandelli, il cittì che deve scegliere per forza, dice: difficile, accadrà solo se sarà davvero necessario. Già, la necessità di vincere può sovvertire concetti scolpiti nelle sacre tavole. Pure subito, contro i maestri inglesi. E’ successo più volte al club Italia. Soprattutto l’ultima settimana è trascorsa imbastendo continui paragoni tra Immobile e illustri predecessori nel ruolo di outsider mondiale: Ciro come Paolorossi, Ciro come Totòschillaci sono stati gli accostamenti più ricorrenti. Sarà pure esaltante essere avvicinati ai Grandi, ma se porti il nome di un imperatore e se hai segnato più gol di tutti in Italia, un po’ grande ti senti già. Non è faccia tosta e neppure superbia, ma consapevolezza della propria forza quotata venti milioni di euro alla borsa del calcio. Tre gol nell’ultima amichevole vorranno pur dire qualcosa; sarebbero tutti argomenti inoppugnabili se fossimo noi a dover decidere. Siamo dalla parte di Ciro, per nascita e affinità elettive: i ragazzini si immedesimano nella sua favola partita proprio da qui, noi tifiamo perfino Savoia come lui. Tocca, invece, a Prandelli che certamente ne sa di più, anche se in questi giorni saranno decine di milioni coloro che vorrebbero contendergli il posto. Così noi ci sfiliamo e - dalla poltrona di casa o da quella del bar - fortissimamente gridiamo: W l’Italia. Aspettando Ciro il Grande. MASSIMO CORCIONE