A cura della Redazione
Come si fa adesso a non portarlo in Brasile? Ciro Immobile si presenta agli esami finali di un’annata eccezionale esibendo il suo biglietto d’ingresso nella storia del Torino: ha segnato in un solo campionato quanto non erano riusciti a fare neppure Pulici e Graziani, i gemelli dell’ultimo scudetto granata, l’unica squadra alla quale si riconosca la legittimità dell’eredità del grande Torino, quello di Mazzola, Gabetto, Loik, Bacigalupo, Menti, Ossola. Una squadra entrata nel Mito per le tante vittorie e per la fine tragica avvenuta il 4 maggio di 65 anni fa. Nomi che riemergono dalla memoria di lettore di almanacchi e di storie di sport: diranno poco ai ragazzini di oggi, ma da chiunque tifi Toro sono onorati come santi nel paradiso del pallone. Ciro Immobile ha già imparato a conoscerli, ora proverà a emularli. Per lui i tempi della canonizzazione sono ancora lontani, ma siamo pronti per la beatificazione: titolo da capocannoniere e maglia azzurra per un mondiale, il massimo per chi fa il centravanti. E che centravanti! Vecchio stile, con la preparazione e la forza dell’atleta moderno. E’ questa la ragione che spingerà Prandelli ad assegnargli uno dei 23 posti per la trasferta brasiliana. Non c’entra la politica, sono i numeri a imporre e sponsorizzare la candidatura. Ha fatto più gol di tutti e non ha tentato neppure la trasformazione di un calcio di rigore. Un occhio alle pagelle (per quel che contano) e ai chilometri percorsi durante una partita lo rendono quasi indispensabile: nessun attaccante, tranne forse Cavani, è stato mai visto tornare tanto spesso per difendere e poi recuperare prima di tutti la posizione avanzata. Un esempio di serietà e di spontaneità, capace ancora di emozionarsi, incassando a Chieti l’ennesimo premio sotto gli occhi di papà: da questi particolari si riconosce un uomo vero, prima ancora del campione. Il campione lo vedi in campo, domenica dopo domenica, quando migliora costantemente il proprio rendimento e l’intesa con Cerci, il compagno di squadra che l’enfasi del racconto calcistico ha imposto di chiamare gemello, anche se in comune hanno solo il colore granata. Come Graziani e Pulici, appunto. Anche se Ciro, con i suoi gol, un po’ di polvere l’ha posata sulle loro statue di cera esposte nel museo della memoria granata. Lui è tutt’altro che una statua: è vivo e lotta per il Torino e per l’Italia intera. Da Torre Annunziata al Maracanà, un viaggio che somiglia a una favola. Troppo bella per non essere vissuta e raccontata agli amici tornando al mare di casa. MASSIMO CORCIONE