A cura della Redazione
Giudicare è il mestiere più difficile: devi spesso giocare sfide impegnative con la tua coscienza; soprattutto nei casi dubbi, le norme non comportano una pacifica applicazione. E fa poca differenza se la sentenza vada letta dallo scranno di un tribunale o sia semplicemente fischiata su un campo di calcio: è sempre dura. L’esagerazione nel paragone serve a meglio rendere l’idea di quanto complicato sia il lavoro di Marco Guida, uno dei ventuno arbitri abilitati a dirigere partite in serie A. Da qualche mese è stato promosso “internazionale”, presto lo vedremo dirigere in un grande torneo, ma in Italia è già considerato una sicurezza. La consacrazione domenica scorsa in Milan-Juventus, una delle partite più prestigiose del campionato, per chi fa il suo mestiere è un po’ come dirigere la Traviata all’apertura della Scala. Sono lontanissimi i tempi in cui li chiamavano giacchette nere per via di quelle divise eternamente demodé; oggi corrono fasciati in magliette sgargianti e sudano quanto un calciatore. Chilometri percorsi con sedici telecamere puntate, prontissime a rilevare il minimo dettaglio. E’ anche questa una regola (non scritta) del gioco: sbagliare è vietato, o almeno non è mai ammesso perdono popolare. Governare lo stress è l’altra faccia della fatica che riserverà pure popolarità e un po’ di agiatezza, ma che costa tantissime energie, fisiche e mentali. Marco le distribuisce, le amministra con saggezza nonostante sia uno dei più giovani del gruppo. E’ una carriera da predestinato, la sua, mercoledì impreziosita dal debutto (come quarto uomo) in Romania-Argentina. Pierluigi Collina me ne parlò quando era stato appena promosso dalla C: può diventare il migliore, fu la sua profezia che, stagione dopo stagione, va avverandosi. E il tempo gioca solo a suo favore. Stesso giorno per Marco Guida e Ciro Immobile: convocazioni ufficiali che sono legittimazione del valore già espresso all’interno dei confini nazionali. In comune, Marco e Ciro, hanno l’origine, Torre Annunziata, e questo fa piacere a tutti noi che siamo nati e cresciuti da queste parti. Potete pure non chiamarlo orgoglio torrese, ma io resto convinto che nascere qui aumenti almeno la capacità di resistenza. Il resta lo fa il valore personale. E Marco e Ciro valgono, tanto. MASSIMO CORCIONE