A cura della Redazione
E ora che cosa ci aspetta? Sono settimane che sentiamo parlare di un’emergenza indifferibile, della necessità di assicurare un governo a questa Italia. Ma nessuno ha mai associato il concetto di emergenza alla parola Sud. Pare che tutti siano convinti che il taglio degli stipendi ai parlamentari (misura utile e giusta) sia la fonte di finanziamento di tutte le riforme indispensabili. Nessun piano organico era presente nelle tavole programmatiche esibite in campagna elettorale, nessun accenno è stato fatto ora nelle trattative che faticosamente hanno portato a questo armistizio su larghe intese. Il nostro vero garante resta Napoletano, il presidente che chiudeva a Torre Annunziata la sua campagna elettorale, quando i discorsi non erano fiere dialettiche, ma conoscenza e analisi dei problemi della gente. Lui sa, o almeno ricorda lo stato penoso della sua terra, il bisogno di restituire la speranza a chi l’ha persa da tempo. È il compito della politica, quello al quale da anni si è rinunciato. È giunto il tempo di tornare a occuparsene, organizzando subito il ripristino della scelta dei nostri delegati, ora designati in massima parte dai partiti, in qualsiasi forma essi si presentino. Solo così saranno davvero liberi di rappresentare i loro elettori verso i quali avranno un rapporto diretto, non mediato. E noi ci sentiremo rappresetati da chi avremo davvero voluto. Tanto per ricordarlo al futuro governo, qui siamo davvero inguaiati, più ancora che nel resto del Paese. Siamo sempre alle prese con l’idea di legalità, troppo debole per poter essere interiorizzata, per poter essere messa al centro dell’ azione singola o collettiva. Non basta arrestare, quello è solo il primo passo, serve convincere gli altri, i più giovani, a evitare pericolose emulazioni. Fornendo alternative al reclutamento della delinquenza; c’è una parola che aiuterebbe molto e quella parola è lavoro. Somiglia a un miraggio nel deserto, ma occorre dare forma e sostanza. Da soli non ce la faremo mai, anche l’Europa deve esserne cosciente, evitando che tutto si risolva in un esercizio contabile. Finora è andata sempre così: i modelli erano solo quelli negativi. La voglia di fuga ha prevalso spesso, impedendo che potessimo concentrarci sulle cose da fare per l’interesse di tutti, abbiamo anteposto l’interesse personale perché quella era la strada più facile anche se non sempre quella più comoda. Abbiamo fatto meno pressione, subendo pure le inefficienze altrui. E questo è il risultato: se gli altri stanno male, noi stiamo peggio Può durare in eterno questa situazione? La distruzione completa arriverebbe prima. Lanciare il grido di allarme oggi non so quale effetto possa produrre, ma non farlo sarebbe irresponsabile. Fate presto, resta il messaggio lanciato nella bottiglia. Che qualcuno lo raccolga. MASSIMO CORCIONE