A cura della Redazione
Era inevitabile che arrivasse la stagione dei divieti. Nella terra dove tutto è possibile, prima o poi qualcuno che chiedesse e pretendesse il rispetto delle regole doveva pure esserci. Ma accorgersi che quei chioschi spuntati sulla banchina del Porto non rispettavano le minime norme di igiene, certificare con la chiusura di un cancello che il costone dell’Oncino rappresenta una minaccia immanente per l’incolumità dei frequentatori della spiaggetta è solo il primo atto. Necessario per un ritorno a un mondo normale fatto di sicurezza e di rispetto della legge, ma altrettanto necessariamente breve: dovrà durare il meno possibile, puntando a una sistemazione che vada al di là dei cavalli di frisia e delle sbarre da lager metropolitano. Partiamo dall’Oncino e da una citazione di Maria Orsini Natale che a quel luogo ha legato la prima stagione dei suoi ricordi. “Sono nata su di una spiaggia piccola piccola, neanche un puntino nell’universo, ma spazio sconfinato. Il mio mare sotto casa (…) le mandrie di cavallucci marini, proprio mandrie (…) e il profumo dei suoi scogli”. Ecco che cosa era l’Oncino anche per chi lo ha solo scelto come proprio rifugio negli anni, assistendo a una lenta ma inesorabile trasformazione. La spiaggia piccola piccola di Nostra Signora delle Lettere è scomparsa da decenni, la Torre di avvistamento è impacchettata in un’impalcatura che somiglia tanto a stampelle piazzate a sorreggere gambe stanche, e la Spiaggetta ora chiusa è il prodotto dell’opera più snervante che ci sia toccata in sorte: il tunnel che convoglierà tutti gli scarichi verso il depuratore di Rovigliano. Eppure il fascino è intatto, con il suo carico di storia e di leggenda legato allo stadio dove il Savoia rischiò di vincere lo scudetto nel 1924, con quella stradina che l’architetto Pagliara aveva ridisegnato (sulla carta) proponendo una scena più simile a Capri e Posillipo che all’immagine sotto gli occhi di tutti. L’allarme per il costone pericolante è molto datato, il Comune lo aveva lanciato più volte sollecitando l’intervento della Provincia, poi la paura dell’ultima estate con quei piccoli crolli avrebbe dovuto far scattare contromisure immediate, ma si fa più fatica a scoprire chi deve decidere che a operare una ricostruzione della parete comunque costosa. Vedere l’angolo più bello e suggestivo della nostra costa interdetto dalle transenne è solo l’ultimo scempio che ci toccherà. Le proteste saranno come disperate grida d’aiuto: ci sarà qualcuno ad ascoltarle? Oppure saranno urla nel deserto e dovremo accontentarci tutt’al più di ascoltarne l’eco? Lungo il mare la nostra via Crucis ci porta al Porto, la grande occasione mancata della vita torrese. Lo spazio più inutilizzato che si possa immaginare. Quei baracchini oggi (giustamente) chiusi erano la risposta spontanea e anarchica all’assenza di un piano di valorizzazione, di una sistemazione dell’area che legalmente potesse offrire un’occasione di lavoro a chi ha voglia di mettersi in gioco e anche un motivo per evitare quelle estenuanti migrazioni estive alla ricerca di un luogo dove consumare un gelato. Esiste un piano d’emergenza? Semplici domande per risposte che condizioneranno la nostra estate. Sempre in attesa che venga risolto con una pronuncia chiara il grande mistero: quando entrerà in funzione il depuratore? L’effetto annuncio non basta più. MASSIMO CORCIONE