A cura della Redazione
Da Torre Annunziata allo stretto di Cook c’è un mondo di distanza. Azzerato da Salvatore Cimmino con migliaia di bracciate per l’ultima sua impresa. Sta inseguendo una pazza idea, quella di coprire a nuoto tutti gli stretti del mondo, metafora dell’unità tra le terre separate e tra gli uomini eternamente divisi. Salvatore racconta la sua storia di atleta disabile con la naturalezza dei campioni: gareggia con una gamba sola, quasi raddoppiando la fatica, ma triplicando la gioia per ogni successo. In Nuova Zelanda ha conquistato la stima e la simpatia di John Kirwan; il nome dirà poco a chi sa quasi nulla di rugby, ma tra Auckland e Wellington è considerato una leggenda vivente. E’ stato un all black, eroi dell’era moderna che prima di ogni partita affidano le proprie speranze a una danza maori, la haka, ricordo di tempi non proprio modernissimi. Al guerriero Kirwan la sfida di Salvatore Cimmino è apparsa proprio d’altri tempi, e perciò meritevole della più ampia partecipazione. E’ stato il testimone del tentativo, riuscito, di attraversare un lembo di mare gelato e tormentato dalle correnti. Ha celebrato il trionfo come se a meritarlo fosse stato il suo miglior amico, certamente tra i due s’è stabilito un rapporto speciale, tra combattenti veri. La faccia di Salvatore all’arrivo era insieme l’immagine della felicità e della fatica estrema: nuotare per otto ore nel braccio di mare che unisce le due isole principali della Nuova Zelanda deve provocare sensazioni uniche, di quelle che ti porti dentro per una vita. Se le aggiungi a quelle immagazzinate attraversando la Manica e lo stretto di Messina puoi misurare l’infinita ricchezza che l’ex ragazzo di Torre Annunziata ha accumulato da quando ha scoperto che il nuoto può servire a lanciare messaggi forti e chiarissimi. Lotta per gli altri, per chi si sente meno assistito degli altri, per chi si vede appiccicata l’etichetta di disabile come un marchio che denuncia una diversità negativa. E invece è tutta energia positiva quella che sprigiona con la sua straordinaria voglia di combattere. Con la tenacia che mette negli allenamenti presso il circolo romano Aniene. Con la serenità del suo racconto. La sua battaglia l’ha vinta, onore al torrese che onora le radici come meglio non si potrebbe. Ma la sua crociata non s’è conclusa, il santo graal dell’uguaglianza deve ancora essere conquistato. Più che uno stretto, c’è un oceano da traversare. MASSIMO CORCIONE