A cura della Redazione
C’era una volta… Maria Orsini Natale. E sarà ancora con noi. Per sempre. Sì, perché c’era una volta… per noi napoletani non è solo l’incipit un po’ scontato delle favole, ma più spesso l’inizio della fuga consapevole dalla storia contemporanea, fatta di misteri inspiegabili, avvolti nel pestilenziale odore della monnezza stivata sul Vesuvio. Una speranza covata nel silenzio di anni trascorsi in giro per il mondo, nascondendo la propria vena o forse solo affinandola come un antico ebanista avrebbe fatto con le figure da lasciare scolpite nel legno. Una grande arte quella di rendere viva la materia inerte. Una differenza, però, c’è: qui la materia è viva, il ricordo sempre presente non s’accompagna solo a languide nostalgie, alla finta illusione che tutto per forza un tempo era più bello. C’era una volta… Maria Orsini Natale, la Signora che ha raccontato come eravamo per indicarci la via di come dovremmo essere. Un percorso che va da Francesca e Nunziata alla Terrazza della Villa Rosa, alla Bambina dietro la porta ai Cieli di carta fino alla Favola del Cavallo. Non c’è mai stato un rigidissimo criterio cronologico, non sarebbe potuto esserci: il tempo è solo l‘occasione per narrare. Così la cronaca s’è evoluta in storia e poi in fiaba. Un esempio? Il Cavallo Napoletano – uno degli ultimi iscritti alla corsa nel passato – altri non è che il grande saggio al quale affidarsi per meglio comprendere i segreti di un popolo oggi martoriato. Nel ricordo del ragazzino, dirimpettaio del Palazzo Orsini, dopo le prime righe quel cavallo era diventato subito una presenza familiare, troppo somigliante a quello attaccato all’ultima carrozzella che stazionava lì, pronto a scendere e poi scalare le rampe che portavano al mare, paziente al punto di accettare che le redini passassero dall’esperto vetturino agli insopportabili mocciosi seduti a cassetta. La digressione è solo personale, segnale però dell’agio che ha puntualmente avvolto chiunque si sia mai avventurato tra quelle pagine, ambientate nei luoghi della memoria, lungo le strade che attraversano la Costiera. Tutto diventa fonte di fascino puro: la cucina di Francesca, l’atmosfera della terrazza, la polvere che alza il cavallo, mischiando sapore di terra e profumo di limone. Le pagine di Maria lasciano un segno sulla pelle, come il sale che non c’è più nel nostro mare: anche chi considera il passato un tesoro da custodire gelosamente senza mai cedere alla contemplazione, non può essere passato attraverso la lettura senza esserne soggiogato. Ma il risveglio, il ritorno alla quotidianità non è solo malinconico contrasto tra com’era e com’è. Viene voglia di migliorarsi, non di piangersi addosso. Una ragione in più per rileggerle o per farle conoscere, quelle pagine, anche a chi finora non le ha frequentate: struggenti come una vecchia melodia, istruttive come un libro di storia, straordinariamente vive e realistiche come immagini in 3D. O forse no, siamo già oltre, siamo entrati nella quarta dimensione, sospesi tra passato e futuro, traditi solo dal presente. C’era una volta… Maria Orsini Natale. Ci ha lasciato la sua ricchezza: le sue parole, la sua speranza. MASSIMO CORCIONE © Riproduzione riservata