A cura della Redazione
Ci era rimasta solo quella, la voglia di festa. Pronta a manifestarsi alla prima occasione, bastava una vittoria sportiva a scatenarla. L’appuntamento del 22 ottobre, poi, era laicamente sacro: la venerazione della Madonna della Neve si è sempre intrecciata con il piacere di ritrovarsi. Accadrà anche quest’anno, ma sarà comunque diverso. Triste parlare al passato, perché quando l’amarcord prevale sul racconto di oggi significa che non si sta vivendo un gran momento. Anzi, siamo nel peggior periodo degli ultimi anni. L’anno scorso fu quasi una festa di liberazione, stavolta siamo in piena espiazione. Assediati da ogni tipo di emergenza. La rivolta per la discarica che avvelena il Vesuvio si combatte dietro l’angolo, troppo vicino per non essere coinvolti, non fosse altro per il maleodorante olezzo che viaggia dalla Montagna al mare. Non si riescono più neppure a definire gli schieramenti: siamo al tutti contro tutti, con un assordante silenzio da parte di chi dovrebbe fornire risposte. Le immagini delle strade invase dall’immondizia si alternano a quelle della Rotonda diventata simbolo della mobilitazione; le distanze dal resto del Paese si allargano: quel che resta negli occhi è l’idea di una insurrezione per un problema che altrove è già risolto da anni. Vedere quelle mamme contrapposte agli scudi della polizia è uno spettacolo innaturale, non può esserci contrapposizione tra lo Stato e chi chiede di vedere rispettata solo la propria dignità di cittadini. Ma di soluzioni definitive non parla nessuno: aprono tavoli, convocano vertici nei quali risultano assenti tutti coloro che potrebbero avere un vero potere decisionale. Intanto l’accampamento mediatico si è ormai insediato, con le stazioni satellitari accese, le telecamere con i fari sempre puntati. Al centro della scena le nostre miserie, ancora una volta. E spiragli di luce non illuminano, invece, l’altro buco nero: la questione occupazionale. Detta così, somiglia al titolo di una tesi di laurea, uno di quei temi eternamente sospesi che puoi raccontare, ma non risolvere. La Tess si è rivelata per quello che dall’inizio si sospettava: un carrozzone che produce poltrone e non posti di lavoro. Sono state saccheggiate le nostre speranze, hanno abusato della nostra disponibilità a credere in chiunque ci prospetti un futuro meno precario. Si stanno ripetendo sequenze già viste: prendi i soldi e scappa, con tanti saluti a quanti pensavano di aver finalmente conquistato un posto di lavoro e un po’ di tranquillità. Patrimonio minimo per affrontare la vita senza sentirsi perennemente un precario, patrimonio invece costantemente negato in una città che ha l’indice di disoccupazione a livelli da zona ultradepressa. Depressi siamo sicuramente noi, stretti tra notizie di cronaca che accendono altri allarmi: torna il mercato della droga, si risvegliano i clan, non riesce neppure l’impresa (!) minima di rifare il trucco al Corso Vittorio Emanuele. Soprattutto ha ripreso pericolosa a circolare un’aria disfattista soffiata da un popolo di rassegnati che - spesso nell’anonimato - sentenzia e mai propone qualcosa di innovativo. Se a voi questo sembra un clima di festa… MASSIMO CORCIONE