A cura della Redazione
Quei frati con i calzari e i piedi nudi interpretano uno dei primi ricordi dell’infanzia: i conventi di solito incutono timore nei ragazzini, ma non a San Pasquale, dove tutto sapeva di festa. I sorrisi degli scout che lì avevano la propria sede, le facce senza età dei monaci, come li chiamavano tutti, pure gli odori che i muri emanavano: presenze familiari al di là dei confini della parrocchia. In città erano riferimenti, la stessa loro partecipazione al seguito della processione era il segno della continuità, indipendentemente dai nomi e dai volti che sono cambiati negli anni. Io parlo di coloro che mi è capitato - che ho avuto la fortuna - di incrociare: in un attimo mi sono riapparse tutte le chiacchierate con padre Cirillo, grande esperto di diritto canonico e gran conoscitore dell’universo giovanile con i suoi tormenti, le sue finte certezze, le sue reali non-conoscenze. Averlo avuto come insegnante è stata un’esperienza formativa, la religione cattolica era solo l’occasione per un incontro che puntualmente si trasformava in una vera lezione. Lo sostituì padre Diomede, altro carattere, stessa serenità. C’era un mondo che si muoveva dietro quel portone che si affaccia sulla piazza e che resterà probabilmente chiuso chi sa per quando. L’estro di padre Giorgio Ascione a Torre Annunziata trovò energia nel confronto laico con chi praticava l’arte come palestra dell’anima. Altro ricordo personale: che fine avrà fatto il Cantico dei Cantici che con il suo oro dava luce al refettorio? Non so se sia ancora lì, l’ultima volta lo mostrai a mio figlio come una piccola eredità morale che gli derivava da suo nonno, Ciro Arcella. Un esempio di come una comunità si integri con il resto, con il mondo che le circonda. Un esempio, San Pasquale, sicuramente perpetuato nelle generazioni successive. Succedeva, ancora succede, ma non a Torre, dove chiude anche il convento, come una vecchia merceria. Solo che in quelle stanze si sono formate personalità e coscienze che oggi ancora resistono nella battaglia per la vita. Sono sensazioni ormai lontane, eppure memorabili, ecco perché apprendere che anche quel luogo resterà chiuso, un velo di tristezza lo fa calare. E’ questo che vorrei dire al cardinale Sepe, uno di noi, uno che per queste esperienze è passato, che conosce quanto sia importante aprirle le porte piuttosto che chiuderle. MASSIMO CORCIONE