A cura della Redazione
Solo dodici mesi fa somigliò a una festa di liberazione, anche se i fasti furono quelli di una celebrazione molto spartana, figlia di una emergenza finanziaria mai risolta. L’atmosfera era quella da “arrivano i nostri” per rompere l’assedio intorno a Fortàpasc. Ora siamo più liberi, ma c’è un nodo scorsoio che progressivamente si stringe intorno alla disastrata economia di Torre Annunziata: il lavoro che non c’è, più che una disgrazia collettiva, è una maledizione. Il 22 ottobre, almeno per me, ha sempre una funzione catartica, una purificazione dalle scorie di un anno che va a concludersi. Non è una questione di fede, è quasi un rito pagano che si compie indipendentemente dalla presenza a Torre Annunziata, dalla partecipazione fisica ai riti di un giorno speciale. Per un torrese è festa anche da lontano, una festa da onorare in solitario, con la mente che vola a casa e il corpo impegnato in tutt’altre faccende. Una condizione non invidiabile, vi assicuro, ma che misura il livello di attaccamento alle origini. Certo, essere a Torre è tutt’un’altra cosa. Imparagonabile: le luminarie, i fuochi, e in mezzo la sagra dedicata ai sapori del grano e del mare, l’appuntamento che per qualche ora la sera consente di tornare padroni del molo, del porto, di quello che una volta era il volano della città. Solo una parentesi, d’accordo, ma da vivere intensamente. Pure quest’anno sarà una festa diversa, il ritrovato splendore di luci e profumi contrasta con la precarietà del momento. La battaglia per il lavoro che si sta combattendo quotidianamente è di quelle che tolgono ogni voglia di festeggiare. E’ impressionante la molteplicità dei fronti: tra posti che sfumano e altri che tardano ad arrivare, il numero di famiglie che viene coinvolta nella guerra per la sopravvivenza aumenta di giorno in giorno. L’appuntamento che il Sindaco ha già fissato con il ministro Scajola è di quelli fondamentali: contro la crisi c’è bisogno di alleati forti, forte deve essere soprattutto la volontà di aiutarci. Da soli non ce la faremo mai. La politica, nel senso delle divisioni tra partiti e coalizioni, qui non c’entra, siamo in regime di perenne straordinarietà. E non serve neppure l’assistenzialismo, il buono che arriva come regalo di Natale non cancella la disperazione, soprattutto non ferma il rischio di una degenerazione. E da quella dobbiamo guardarci, è il male poco oscuro che può avvelenare la convivenza, che può inquinare i rapporti quotidiani tra cittadini. Rappresentare questa situazione a chi è estraneo a questa realtà è l’impresa più difficile, proprio per la mancanza di ogni forma di mediazione e per la cronica distanza che esiste tra il Centro e la nostra periferia. Insomma non immaginano neppure in quali condizioni noi viviamo, anzi tentiamo di vivere. Aspettando un segnale da Roma, un progetto che vada al di là della semplice accettazione della Zona Franca come base di partenza, concediamoci una pausa, una distrazione. Che la festa cominci, ma la battaglia continua. MASSIMO CORCIONE